venerdì 30 marzo 2012

SBAGLIANDO SI IMPARA

Ci sono giorni che sembra che tutto fili alla perfezione:

Nonostante la sveglia da panettiere ti alzi pimpante come una cavalletta, pronto ad azzannare la strada.

Nonostante i cinque strati di vestiario in cui sei costretto ad intabarrarti a causa del freddo invernale, ti sbrighi in cinque minuti con elastica scioltezza.

Fischietti.

Come attacchi a pedalare la gamba risponde subito, e riesci magari ad imprimere una bella andatura già nei primi cinque minuti.

Alle rotonde e alle svolte ceselli traiettorie curvilinee degne di Giotto, con un'inclinazione laterale neanche fosse calcolata dalla NASA.

I copertoni scorrono in modo musicale, i raggi friniscono come cicale.

Tutti ti guardano, ti sorridono, ti indicano agli altri con ammirazione.

Ali di folla commossa e plaudente si accalcano ai lati della strada, acclamando l'Uomo Nuovo Che Traccia Il Solco Del Luminoso Futuro Del Pendolarismo A Basso Impatto Ambientale E Ad Alto Tenore Di Efficienza Fisica.

Da sotto il caschetto garrisce un biondo ciuffo di stirpe prediletta, immemore della tua impietosa calvizie.

Sormonti i cavalcavia, sgomini gli autotreni, arresti le automobili con un fremito delle sopracciglia.

Le rondini stormiscono in cielo in segno di saluto, anche se è Gennaio.

Le pozzanghere si scansano al tuo passaggio.

La bufera di vento che ha imperversato tutta la notte si placa come metti la ruota fuori casa, per riprendere un istante dopo il tuo arrivo a destinazione.

Giungi a destinazione profumato come un playboy, dopo avere macinato una media chilometrica che neppure la Freccia Vallone.

Per il tuo meritorio impegno ciclistico vieni proposto per la nomina a Uomo del Secolo dal management - svedese - dell'azienda dove lavori - svedese anch'essa -, più elevazione stipendiale e fringe benefits degni di un boss dei narcos messicani.

Il mondo ti sorride, sei un Ciclopendolare.

==============================================================

Ci sono volte che tutto sembri contro di te.

Anche se hai dormito otto ore filate ti alzi a cannonate, con le palpebre pesanti come un pane di ghisa, e con l'unico neurone attivo rimugini un "Ma chi cacchio me lo fa fare".

Il rasoio da barba sembra incattivirsi sulla tua faccia sconvolta, ti radi praticamente a memoria mentre schiacci un pisolino supplementare.

Nonostante la consuetudine a indossare sempre il solito abbigliamento tecnico, ti incasini con le cerniere, i velcro si aggrappano ovunque, infili le maglie al contrario.

Dopo mezz'ora di vestizione, già sudato fradicio perché sei dentro casa, ti si spezzano i lacci delle scarpe.

Imprechi.

Come attacchi a pedalare senti le gambe farcite di calcestruzzo.

Dopo venti minuti sei ancora lì che arranchi con le ginocchia che cigolano.

Vai in affanno al primo dosso artificiale, dopo mezz'ora sei in ipoglicemia.

Incedi con assetto precario tentando di ridestare polpacci e quadricipiti, ancora in fase REM (loro).

Ripensi alla sera prima, e ti interroghi se a fregarti così sia stata la bagna cauda, la peperonata che ne è seguita o la sfida finale a grappini con gli amici norvegesi.

Percepisci il sellino che poco alla volta ti sta intarsiando scene di caccia sul perineo.

Ti inquieti udendo la bici emettere sinistri stridori e suoni mai avvertiti prima, paventando un improvviso cedimento catastrofico.

L'azienda tramviaria cittadina ha posato nottetempo tre nuove linee di binari lungo il tuo percorso usuale, anche dove i tram già passavano.

Le auto ti sorpassano strombazzando a un centimetro. Qualcuno ti riserva epiteti irripetibili, vagamente riferiti alla inopportunità della tua presenza per strada, se non anche al mondo.

Subisci gli strali biliosi del primo pedone che incontri, che ti inveisce gesticolando tutto il proprio sedimentato odio verso i ciclisti, anche se stai transitando a duecento metri da lui (lo fa per tenersi in esercizio).

Bambini dispettosi attendono il tuo passaggio per gettare manciate di chiodi.

Alla tua vista le pozzanghere convergono verso di te.

Vieni fermato da una pattuglia di vigili urbani, chiamati da un passante allertato dal tuo inusitato transitare, certamente foriero di malaffare, eccentricità, libero pensiero e violazione dell'Ordine Costituito. Mentre vengono setacciate le tue credenziali con dovizia di particolari e malcelato disprezzo, dieci metri più in là quattro energumeni stanno menando una vecchietta a scopo di rapina, ridendo indisturbati.

Riesci ad arrivare alla méta nonostante tutto, con una media chilometrica degna di un triciclo sgonfio controvento.

Vieni accolto dai frizzi e lazzi dei colleghi, che ti sfotteranno fino alla pensione ma intanto ti faranno ritrovare la bici sul tetto a fine giornata. Ma tanto già ti sfottevano da prima, e quella è la quarta bici che ricompri dopo tre precedenti furti.

Il mondo ti odia, sei un Ciclopendolare.







SIC TRANSIT GLORIA MUNDI

Nella mia evoluzione ciclopendolaristica ho attraversato varie fasi.
I primordi, ad esempio, furono caratterizzati da un pendolarismo piuttosto spinto, 35 km a tratta per le carrettiere in provincia di Pavia, in un'ora e 15 al meglio delle mie facoltà.
Erano i tempi del glorioso Rampichino Cinelli, rimaneggiato in versione 2.0.

Quei tempi erano anche caratterizzati dal rifiuto di montare pedali automatici. Mi sentivo imbrigliato, costretto, impedito nella salvifica manovra di tirar fuori il piedino in caso di caduta, se qualcosa fosse andato storto. E tale ritrosìa non si è mitigata neppure acquistandone un paio su suggerimento di amici, provati una volta e subito accantonati in preda ad una sensazione di orrore claustrofobico.

Poco a poco, agendo su me stesso, ho superato il terrore e familiarizzato con gli aggeggini a scatto, coltivando anche la pratica ermetico-alchemica del montaggio delle placchette sotto le suole, il loro allineamento e centraggio in corrispondenza del punto giusto della pianta del piede.

Ho quindi iniziato ad usarli sistematicamente, scoprendo un mondo fatto di pedalate rotonde, di sincronicità col mezzo, padronanza della postura e, in buona sostanza, aumentando notevolmente la velocità media sul percorso.

Autunno di tre anni fa.
Tardo pomeriggio di fine Ottobre, dopo il ritorno all'ora solare era già buio. Una delle volte che i pedali automatici mi regalano una gradevole volata, ragion per cui serenamente gongolo ormai in vista di casa.
Come accenno a rallentare sul rettilineo principale l'aria freschina, interagendo con la maschera da cross la cui superficie interna contiene l'effluvio palustre del mio sudore non più ventilato dal moto in avanti, crea una immediata e inattesa cortina di condensa, che mi cela improvvisamente alla vista la strada, i marciapiedi circostanti, l'illuminazione urbana e i passanti.

Non mi accorgo, quindi, della decelerazione.

In un secondo sono fermo, immobile. La gravità terrestre reclama il proprio pegno, e mi sorprendo a chiedermi perché - nonostante io stia tenacemente comandando al piede di arrestare la caduta laterale a destra - l'inclinazione non accenni a fermarsi, vieppiù sommandosi ad un'improvvida sensazione di costrizione.

Mi adagio in orizzontale, sul mio fianco destro, in perfetto assetto ciclistico e ancora le mani sul manubrio.

Risulta difficile in un centro abitato, a quell'ora frequentato, perdersi lo spettacolo di un deficiente giallo fluorescente e luminoso lampeggiante che rovina al suolo in modo così geometrico, meccanico, quasi deliberato. Uno stunt-man.
E la scena infatti non sfugge ad un gruppetto di ragazzini che si sta avvicinando sul marciapiede, il più solerte dei quali, con tono serio ma senza scomporsi, si informa sul mio stato:

- "Bella Zio, tutto a posto?".

Sganciando i pedali con quei tre secondi di ritardo mi rimetto in piedi, farfuglio qualcosa, scosto gli occhialoni, per accorgermi di essere letteralmente a 50 metri da casa.

Acquisisco da quel momento l'attitudine a pensare sempre con CINQUE secondi di anticipo sugli eventi.

martedì 13 marzo 2012

DOUBLE QUICK COMMUTING

E alla fine ci sono cascato anch'io.

Dopo essere stato a guardare tutti quei clip postati su YT, girati in soggettiva, sul casco, nel traffico.

Da sotto, da sopra, di lato, notte, giorno.

Da soli, in gruppo, in città, in viaggio.

E io no?

E allora ORGANIZZAZIONE!!!!

Un morsetto a vite sul manubrio, una giornata di sole, batteria carica per metà, trenta minuti di editing.

Per essere il primo esperimento, ne vado matto.



[CREDITS: music by Ben Sage "All about you".]