martedì 25 agosto 2015

VADO A FARE DUE PASSI (il Passo del Maloja e il Passo del Bernina) - 21/23.08.2015

E chi l'ha detto che per divertirsi bisogna per forza, che so, attraversare la Norvegia da Est a Ovest? Certo, avendone il tempo ne vale sempre la pena, ma se i giorni a disposizione sono solamente TRE, tocca farsi venire un'idea.

E a me per questa estate è venuto in mente il tratto di arco alpino a nord della Valtellina, partendo dalla Valchiavenna e rientrando su Tirano, sconfinando in Svizzera in Alta Engadina nel Cantone di Grigioni. Appunto, entrando dal Maloja e uscendo dal Bernina.

A dire il vero la mia intenzione iniziale era quella di fare il percorso inverso, partendo da Tirano, salire il primo giorno sul Bernina, fermarmi a Samedan, ed il secondo giorno percorrere l'Alta Engadina e scendere dal Maloja lungo la Val Bregaglia fino a Chiavenna o Colico. Se non fosse che un assennatissimo consiglio di Davide della Stazione delle Biciclette mi ha fatto cambiare idea, perchè il mio piano avrebbe comportato una iniziale salitona-massacro (interminabile, come scoprirò) per colmare il dislivello di circa 1900 metri in un'unica soluzione, quando invece - come poi ho fatto - è possibile dividere la scalata in due "gradoni".

GIORNO UNO - Venerdì 21.08.2015



















Parto quindi un venerdì di fine Agosto, direttamente dall'ufficio, con un treno comodo da un'affollatissima Stazione Centrale. Ho scelto di cominciare a pedalare da Colico, e con poco più di 30 km arrivare a Chiavenna, lungo la Pista Ciclabile n° 6 della Valchiavenna che parte da Verceia:


La giornata è buona e tale promette di rimanere almeno per domani. Domenica si vedrà.
Grazie al bel tempo trovo la riva del lago frequentatissima di bagnanti. La ciclabile costeggia inizialmente il lago verso nord, piegando poi verso l'ultimo ponte stradale prima che l'Adda si tuffi nel Lario.




Un'intercapedine di mezzo metro tra il guard-rail e la sponda mi consente di attraversare indenne il ponte, che lascio subito dopo svoltando a destra lungo l'argine. E' una diversione che ho scovato nelle pieghe del web, che mi consente di proseguire verso nord senza neppure vedere la trafficatissima statale. Essendo una variante "di nicchia", presentala caratteristica di essere poco battuta, quindi invasa dalla vegetazione. Io, infatti, per un banalissimo errore la percorro giù dall'argine, in mezzo al folto della prateria, anzichè sul più comodo single-track che corre alla mia destra sopraelevato e invisibile. Una traccia nell'erba poco più che impercettibile mi porta fuori dall'argine, in discesa verso una poderale che in poche decine di metri diventa asfaltata.

Mi inoltro per borghi rurali e coltivazioni, Nuova Olonio, Bocca d'Adda, Verceia. Grazie alla segnaletica in ottimo stato non è difficile seguire l'itinerario:




































Percorro il Pian di Spagna, che possiede tre ordini di particolarità:
  • di ordine geologico: il Pian di Spagna prima non esisteva; è il risultato del deposito di detriti alluvionali trasportati dall'Adda che hanno via via riempito il letto del lago, le cui acque in tempi remoti arrivavano direttamente fino a Verceia. Per effetto dei depositi alluvionali si è formato il più piccolo Lago di Mezzola, a nord del Lago di Como;
  • di ordine naturalistico: il Pian di Spagna è stato costituito Area Naturalistica di rilevanza comunitaria;
  • di ordine storico: in corrispondenza del Pian di Spagna passava il confine tra il Ducato di Milano (ricadente per l'appunto sotto la Corona di Spagna) ed il Cantone Grigioni. Inoltre durante la Prima Guerra Mondiale in questa zona passava la Frontiera Nord, apprestamento difensivo appartenente alla Linea Cadorna. Il circondario presenta molte testimonianze dei due momenti storici sotto forma di musei, gallerie visitabili e fortezze.
La vegetazione e le architetture assumono connotati "alpini", con masi in legno, profumi di fieno e stalla, ampi prati erbosi e verdissimi. A Verceia la ciclabile percorre l'antica strada di collegamento con la Valchiavenna, stretta e schiacciata da una parete rocciosa a picco sul lago.

Mi imbatto in una chicca per appassionati:





Uno dei passaggi in tunnel scavati nella roccia, lungo l'antica strada di collegamento tra Lecco e la Valchiavenna. A destra in alto, chiusa col portone in legno,
l'ingresso della Galleria di mina di San Fedele, visitabile su appuntamento.
Era un apprestamento destinato a demolire con l'esplosivo il passaggio stradale a ferroviario in caso di invasione nemica, sbarrando il cammino verso Milano.






































































Ricomincio a pedalare verso nord, meditando di tornare per una visita.

Intanto, al cospetto del Lago di Mezzola, si avvicinano le montagne:





























Passando accanto alla linea ferroviaria è curioso notare la stazioncina di Dubino, piccola e compatta, famosa tra gli appassionati di fermodellismo per essere stata presa a modello dalla Rivarossi per la produzione di uno dei suoi modelli in scala di stazione ferroviaria (Link 1 - Link 2).

Dalle parti di Novate Mezzola comincia il tratto più bello della ciclabile, sempre magnificamente segnalata, tra distese di campi coltivati e fattorie. Le montagne, ora più vicine, torreggiano quasi verticali sulla piana verdeggiante. La pista ciclabile adesso costeggia da vicino il corso del fiume Mera. Un lunghissimo rettilineo porta ad intersecare una strada trafficata, e solo grazie a due giovani ciclisti locali scopro che - se seguissi il tracciato "ufficiale" della ciclovia n° 6 svoltando a destra - mi inerpicherei su per un colle su fondo sconnesso, con pendenze impegnative e dal valore paesaggistico pressochè nullo. Seguendo loro, invece, cambio lato del corso d'acqua e proseguo lungo l'argine destro del Mera. Adesso il tracciato comincia a presentare la prima, sensibile pendenza. Chiacchierando coi ragazzi arrivo comunque in allegria fino ad un bel ponte in legno sul torrente Liro, in località Mese.







































La pista è terminata, loro girano a sinistra e io mi addentro, con un ulteriore rettilineo urbano, fino al centro di Chiavenna. Passo per il centro cittadino, gradevole passeggiata sul ponte in pietra a cavallo del fiume, notando un insolito addensamento di gelaterie artigianali.









































Mi trattengo dalla tentazione di un cono alla nocciola e proseguo verso il limitare est della città, dove la ciclabile ricomincia in direzione della Svizzera.













































La Valchiavenna, che di lì a qualche chilometro diventerà la Val Bregaglia una volta varcato il confine nazionale, adesso piega decisamente e si orienta verso est. Uscendo da Chiavenna, dopo 3 km si intravedono le Cascate dell'Acquafraggia (nome derivato da "Aqua fracta", acqua divisa, dovuto all'aspetto frastagliato delle acqua mentre precipitano dalla parete rocciosa), monumento naturale e degne di menzione nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.






























Al camping Acquafraggia trovo altri cicloviaggiatori, uno dei quali, Mirko, anche lui di Milano, se l'è fatta da Colico con una pieghevole. Da una rapida chiaccherata apprendo che è alle sue prime armi, con attrezzatura nuova, che gli auguro di usurare in tantissime altre esperienze simili.
Montaggio tenda, abluzioni di rito, pizza alla dinamite alla vicina pizzeria, e tutti a nanna ché domani c'è la scalata al Maloja.



























GIORNO DUE - Sabato 22.08.2015

Partenza alle 9 spaccate da Chiavenna, subito in costante salita. La giornata promette bene dal punto di vista meteo, le nubi rimangono attaccate alle cime e lasciano ampi settori di cielo sereno. Colazione alle macchinette automatiche della reception, il sole getta già un deciso tepore. Lasciato il camping, a venti metri lungo la ciclabile trovo un ingresso visitatori che porta fino a uno spiazzo erboso proprio sotto le Cascate dell'Acquafraggia: ne approfitto per ammirarle da MOLTO vicino.




Azzardo nuovamente il Sentiero Valchiavenna nº 6 ma non è disegnato per bici con borse da viaggio (leggi: un fondo da schifo + tracciato tortuosissimo + pendenze proibitive). 











Mi avvalgo quindi dello stradone principale, che si rivela trafficato in modo impressionante, oltre ogni mia più fosca previsione.
Valico il Confine di Stato che la situazione non cambia, e le pendenze crescono.












































In località Castasegna la strada principale attraversa la montagna con un tunnel vietato ai mezzi agricoli e alle biciclette, e quindi attraverso il piccolo borgo con stupor et maravilia.


















































































Giunto al cospetto del Maloja i tornanti assumono forma di veri e propri gradoni sovrapposti.
Quando entro nei tornanti le pendenze sono di livello impegnativo-mosso-con brio, e per lunghi minuti perdo la visuale circostante mentre, a testa bassa negli ultimi due km, spingo su per le rampe al 10-15%. Mentre mi concedo uno dei momenti di pausa per tirare il fiato tra un tornante e l'altro, godendomi lo scenario imponente, una tonitruante tromba alpina in tre tonalità do-mi-sol prorompe ripetutamente da sotto riecheggiando nella stretta vallata: è l'autopostale svizzero giallo e rosso, che collega St. Moritz con Chiavenna, che avverte di lasciargli spazio sulle curve. L'inno auto-alpestre si ripete ad ogni tornante interno, ovvero ogni volta che il bus deve piegare verso destra.
La curiosità è che ne ho visti parecchi, di questi bus, e anche con corse frequenti, e ciò che ha attirato la mia attenzione è che sul retro presentano tutti un portabiciclette a cinque posizioni, fissato con perni quindi comodamente amovibile. Il mio fegato subiva un sussulto ogni volta che ne vedevo uno, comodo, civile, semplice, multimodale, business-oriented e customer-oriented. E mi fermo qui altrimenti la carogna che è in me scriverebbe al posto mio.







































Raggiungo la vetta del Maloja a 1815 metri dopo una scalata di circa 1600 metri. Si alza un fortissimo vento a favore, che però è insidioso data la quota. Adesso sono infatti perfettamente avvertibili gli sbalzi di temperatura tra sole e ombra, tra zone esposte al vento e zone riparate, tipici di queste altitudini. Fa la sua comparsa la felpa di pile, anche in previsione della discesa che mi attende fino alla zona dei laghi.



 


Procedendo in discesa e sospinto dal vento lascio così la Val Bregaglia ed entro in OberEngadin (Alta Engadina), nel Graubünden (Cantone Grigioni).

E rimango a bocca aperta.

Un giardino, un parco giochi, un beach club, un resort all'aria aperta: non basta una sola definizione per descrivere la dolce vallata, i pascoli verdissimi, lo scrigno delle altissime montagne da cui precipitano cascate e torrenti nei laghi in valle, su cui si praticano ogni genere di sport nautico, dalla vela al surf, dal laser al kite. I tre principali specchi d'acqua, da Capolago a Silvaplana a St. Moritz, sono un unico affollato campo di pratica. 
Una rete di itinerari ciclabili differenziati per bici o mountain bike corre per tutta la valle, sia costeggiando la strada che inoltrandosi nei boschi. Bici di ogni tipo li percorrono in ogni senso. Mi fermo su un prato tra un lago e l'altro per un pisolino, grazie al vento sono in nettissimo anticipo sulla tabella di marcia. Decido di andare anche io per boschi fino a raggiungere il capoluogo.
Ragiono sul fatto che, una volta scavalcato il Maloja, tutte le acque che vedo appartengono al bacino danubiano.




















Il lusso sfacciato di Silvaplana e St.Moritz è qualcosa che lascio solo immaginare. Celebro il raggiungimento del traguardo volante con un cappuccino da trequarti di litro e torta alle noci presso il bar del locale circolo velico, mentre dalla vetrata del déhor osservo una moltitudine di appassionati che vanno e vengono dalla competizione di windsurf in corso in quel momento.






































Con altri cinque km in discesa raggiungo il camping a Samedan.




In assenza di ristorante presso il camping, risolvo la cena con una pizza alla diavola, surgelata e riscaldata ma servita con grazia dall'anziana titolare, con la quale riesco a intendermi quasi alla perfezione, nonostante io non parli un'acca di tedesco e lei non riesce a spiccicare altro che quello. Serata in compagnia di due tedesche (ovvero due birre Erdinger) e telegiornale della Svizzera Italiana.
Dato che l'indomani il tempo peggiorerà a metà giornata, dovrò alzarmi e partire molto presto per fare il Bernina in sicurezza.

Mi infodero nel sacco che la luce non è ancora calata.





GIORNO TRE - 23.08.2015

Il terzo giorno inizia con una lieve pioggerella che solletica la tenda. Alle prime luci della valle sono già sveglio come un gallo, ma attendo un pò prima di smobilitare, almeno che scemi la pioggia.
Dopo aver sbaraccato e caricato la biga, veloce colazione dalla signora del camping e via alle 08.15.
Il dislivello da scalare oggi non è eccessivo, ma la cautela aggiuntiva va riposta nel tempo nelle sue DUE accezioni:

  • devo scavallare il Bernina prima di mezzogiorno,
  • per lasciarmi alle spalle la pioggia prevista per il pomeriggio, altrimenti son cavoli.

Dopo una decina di km alla destra si presenta il ghiacciaio del Morteratsch, autentico spettacolo con i suoi 7 km di lunghezza che ne fanno il più grande del Grigioni.








































Il traffico per strada è ancora rado ma si intensifica man mano che salgo. La strada inoltre è asciutta, segno che la pioggia ha insistito solo in fondovalle.
Dopo un accenno di apertura le nubi si richiudono, e tali rimarranno ma senza scaricare. Giunto in località Bernina Suòt (Bernina di sotto), sfilando accanto a un rifugio vengo catturato dalle note di un corno alpino. Un anziano signore, su un piazzale deserto di fronte ai monti, nel silenzio più totale sta dando voce al tipico strumento in legno con melodie tipiche della zona.
Il suono vibra, si spande e riecheggia, e i brividi non sono per il freddo (almeno stavolta).





























In una pausa dell'assolo musicale ringrazio e proseguo, sempre salendo.
Oltrepasso i 2000 mt, il tetto di nubi si avvicina, la vegetazione arborea è sparita e la luce si sta facendo sempre più fioca.






























Oltrepasso lo spartiacque alpino che le nubi sono pochi metri sopra di me, e in ulteriori duecento metri ci sono dentro.
Un'umidità ovattata avvolge il panorama, riesco solo ad intuire il Lago Bianco, a destra più in basso. Non faccio neppure in tempo a rammaricarmene che dalla nebbiosa coltre sbuca l'austera mole dell'Ospizio Bernina, 2309 m.s.l.m..







Accosto e mi fiondo dentro proprio mentre comincio ad avvertire i primi segnali dell'ipotermia, prontamente rimediati con un cappuccino e uno strudel con crema alla vaniglia, temperatura di fusione della ghisa.
In previsione della lunghissima discesa che mi attende da lì a poco mi vesto molto pesante, e proseguo. In cento metri tocco i 2330 metri del Passo Bernina, visibilità ridotta e luce fioca.







A seguire, una sequenza di tornanti bagnati e vagamente intravisti nel bianco della nube. Con tutti i sensi attivi cerco di disegnare traiettorie precise, dato che il bordo della strada è privo di parapetti. Tra curve e controcurve precipito in Val Poschiavo senza girare un pedale per 15 km. Scendendo al di sotto delle nubi la visibilità si fa migliore e la strada è asciutta, ma questo semplice fatto non mi impedisce di sfiorare la collisione con due spauriti vitellini da latte che sfioro sul ciglio strada, spaurendomi anche io, né con uno dei fenomeni da baraccone in moto che ama tagliare le curve in salita (ciao ciccio, col motore son bravi tutti, brum brum), né con un SUV (acronimo di Sport Utility Va§§@%#ulo) che mentre sale in senso contrario decide di svoltare per un distributore tagliandomi la strada (ero a trenta metri, ok, ma filavo a quasi 70 all'ora). In quest'ultimo caso, riesco a sopperire egregiamente alle mie carenze linguistiche in tedesco con un un paio di gesti inequivocabili, prima di filare di nuovo giù ai sessanta.
Il tempo tiene, la Val Poschiavo è un pò scura e grigia e la luce non rende giustizia al lago e ai boschi attorno.






Rientro in Italia e in pochi km arrivo a Tirano, ora di un panino. Seduto al tavolo di un bar chiacchiero con una coppia di cicloviaggiatori piacentini, provenienti dal Tonale e diretti a Vienna via Svizzera, costretti dal meteo a prendere il treno e ad evitare il Bernina.




Come il treno parte attacca a piovere, e così trovo il tempo anche a Milano. Ma tanto non sono solubile. 

PS: visto che comunque ero abbondantemente in orario forse non era il caso di precipitare giù dal Bernina a quasi 70 all'ora.....




PPS: in una pausa tra un treno e l'altro a Milano mi accorgo che è saltata via uno dei bulloncini che serrano il portapacchi al telaio, in basso sul mozzo. Nonostante ciò il Tubus Ergo non ha fatto una piega. Non è una marchetta, è una constatazione.