giovedì 17 novembre 2011

VADO IN BICI

Io vado in bici perché mi piace.

Io vado in bici perché mi fa stare meglio.

Io vado in bici perché fa stare meglio anche voi: ogni volta è un'auto in meno per la strada

Io vado in bici perché se no sto male.

Io vado in bici e vedo cose che da un'auto neanche si immaginano.

Io vado in bici per una questione di equilibrio, soprattutto mentale.

Io vado in bici perché preferisco la qualità alla velocità.
Confronto delle velocità medie dei veicoli nei più comuni spostamenti cittadini (clicca per ingrandire)

Io vado in bici perché non c'é nulla di sovrumano, né di eroico, né di impossibile: la bici è un mezzo guidato da un uomo, prodotto dall'uomo per altri uomini, che circola su strade fatte dall'uomo. Nulla di che. Si tratta solo di pedalare e di aprire un pò gli occhi.

Io vado in bici perché si tiene meglio il conto degli animali spiaccicati a bordo strada.

Io vado in bici perché ogni volta è sempre diverso.

Io vado in bici perché così mi conosco meglio.

Io vado in bici perché ho scoperto che la mente viaggia più veloce su due ruote a pedali a quindici all'ora, che non in un'auto ai centotrenta.

Io vado in bici perché così conosco meglio il mondo fuori.

Io vado in bici perché ho scoperto che la pioggia non uccide, il vento non ammazza, la nebbia non corrode. Sono solo agenti atmosferici, gli stessi coi quali il genere umano ha sempre convissuto.

Io vado in bici perché i commenti scettici non mi toccano.

Io vado in bici perché il mondo non è fatto ad esclusivo uso delle automobili.

Io vado in bici perché mi aiuta a tenere gli occhi aperti, soprattutto quelli della mente.

Ma soprattutto: io vado in bici, e basta.

mercoledì 16 novembre 2011

FAST COMMMUTER D'AUTUNNO

Svegliarsi prestissimo al mattino, che tutti ancora dormono. Ti senti a metà strada tra un fornaio e un rapinatore di banche.

Impiegare dieci minuti in una lunga e laboriosa vestizione, con una sequenza di cerniere e velcro sparsa un pò ovunque nei quattro strati di abbigliamento.

Scendere le scale bici in spalla, con le placchette sotto le scarpe sul marmo che in quel silenzio assoluto generano un frastuono inenarrabile; prima o poi qualche inquilino si chiederà chi diamine  prenda lezioni di tip-tap a quell'ora antelucana.

Uscire nel buio delle sei e mezza di metà novembre, immergendoti nella nebbia che ti accoglie come una matrigna.

Accendere fanali anteriori, fanalini, lampeggianti, e tutto ciò che può contribuire ad allontanare un incontro ravvicinato con un camion, e osservare le minutissime goccioline di nebbia fluttuare nel cono luminoso proiettato davanti a te, come passanti colti di sorpresa.

Fendere il buio color arancio dei lampioni con un fruscìo ovattato. Nessuno intorno.

Vincere l'ancestrale soggezione che incute una strada in aperta campagna da solo, di notte, con la nebbia, confidando solo su di te e nel tuo mezzo.

Sfilare come un lampo accanto alle persone in attesa alle fermate del bus, che ti guardano come fossi un alieno, o un idiota, o qualcuno come un eroe.

Pedalare sottozero, e nonostante ciò avvertire un caldo pazzesco.

Udire il graduale risveglio mattutino dei pennuti, e augurare loro "Buon giorno".

Assistere al fulmineo risveglio della bestia a motore, e al suo incedere tentacolare sottoforma di decine di automobili che si riversano per strada tutte praticamente allo stesso momento.

Compiacerti per l'attenzione attirata negli automobilisti, che ti superano a una distanza più che discreta, complice un giubbino ad alta visibilità, un catarifrangente, un fanalino a tre LED lampeggianti, inserti riflettenti sul casco, due fanali ad altissima luminosità sul fronte. Magari poi racconteranno lo spavento per avere visto un albero di Natale spostarsi da solo.

Percepire con la coda dell'occhio il primo accenno di chiarore del nuovo giorno farsi strada tra la foschia.

Sentirti sicuro e incollato alla strada nonostante il brecciolino e l'umido per terra. Però sempre occhio alla penna...

Percepire su te stesso differenze termiche fuori dal comune, con la punta del naso ghiacciata, le mani insensibili ed il resto del corpo che sta lessando in una specie di bagno turco autogenerato.

Giungere a lavoro e fermarti, ed accorgerti che stai sgocciolando per tutta l'umidità che hai attraversato.

E a fine giornata tornare a casa e doverti fermare, e quasi ti dispiace di non abitare un pò più lontano.