martedì 4 marzo 2014

SFUMATURE DI VITA

Ho già ripetutamente scritto di quanto la bicicletta stimoli l'osservazione del paesaggio circostante mentre fendi l'aere pedalando, sia con lo sguardo rivolto in orizzontale, sia esso invece basso, sul metro quadro che precede la ruota.

Ho anche più volte descritto di quanto il paesaggio ti entri dentro, e ti ritrovi a farne parte anzichè assistervi passivamente.

Ecco, una delle cose che mi sono sempre dimenticato di sottolineare è che, nella mia esperienza di ciclopendolare interurbano, capita anche di assistere a scene assai meno edificanti, soprattutto lungo le vilipese provinciali del Milanese.
Cumuli di rifiuti, opere edili in disfacimento, tutto un catalogo di brutture ambientali e paesaggistiche causate dall'incuria umana, se non proprio dal dolo, che a mio avviso contribuiscono in modo significativo all'incattivimento in atto da un pò. Anche questo schifo ti entra dentro col paesaggio, ma genera reazioni opposte.

Le strade che percorro quotidianamente, delle quali potrei descriverne il brecciolino, le cunette, le irregolarità metro per metro, sono punteggiate di rimasugli di vita, di vestigia umane e animali, che comunicano di un mondo perennemente di fretta, di corsa, in perpetuo transito da una condizione ad un'altra a scapito della qualità del trasporto (e degli scampoli di esistenza umana che questo rappresenta). Ivan Ilich docet.

Si possono così osservare scarpe di tutti i generi: da lavoro, da donna, mocassini. Guanti da muratore, attrezzi assortiti. Le immancabili bottiglie, alternate alle lattine. Pezzi di autoveicolo. Occhiali, tanti.

Poi ci sono le macchie. Grandi, piccole, chiare o scure, sono macchie di colore brunastro che aderiscono al manto bituminoso, intridendolo sino ad occuparne gli interstizi nella matrice ghiaiosa. A volte indovini un accenno di pelame, altre un resto osseo. Sono gli animali. O meglio lo erano, prima di fare la sfortunata conoscenza con la follìa del trasporto motorizzato umano. Quelli già descritti in un libro di Elio e Le Storie Tese, "Animali spiaccicati" (Einaudi). E ce ne sono in una quantità che riesce complicato descrivere senza scivolare nell'iperbole (se dicessi uno ogni cento metri non sarei credibile, anche se è la pura realtà). Li puoi notare solo in bici, o tuttalpiù a piedi

Una di queste macchie, oggi, una volta era un coniglietto selvatico. L'ho trovata per la prima volta nel punto in cui si trova circa quindici mesi fa.

I primi giorni era un ostacolo fisico, un oggetto inanimato di natura organica da evitare scostando sulla sinistra (pericolosissimo!) per non finirgli sopra con la ruota.

Poi, giorno dopo giorno, si è tramutato in una poltiglia putrescente che avvelenava il respiro proprio in risalita da una sottopassaggio, con gli alveoli polmonari in rivolta.

Le piogge, la neve, la brina e il ghiaccio della successiva stagione invernale hanno fatto il loro corso sulla rimanente stecca di baccalà liofilizzato, tenacemente aderente sempre nello stesso punto, con i suoi ciuffetti di pelo dolcemente smossi dallo spostamento di aria dei veicoli.

Nonappena la macchia ha assunto la sua bella forma rotondeggiante, il processo è sembrato arrestarsi e acquisire una sua stabilità per tutta la durata della primavera.

L'estate ha portato con sè la mutazione cromatica: da quel momento la macchia ha cominciato a sbiadire, la pelliccia a disperdersi, la forma a restringersi e assottigliarsi.

Dopo la ripresa del ciclo autunnale, è nuovamente comparso l'asfalto a sprazzi all'interno della macchia. Col tempo pareva di assistere a una mappa geografica di un continente in evoluzione.

Dopo due mesi forzata interruzione del mio pendolarismo, tra novembre e dicembre scorsi, ho provato a cercare la macchia ma senza risultato.

E' definitivamente sparita ogni traccia del coniglietto, dopo quindici mesi di ostinata resistenza, direi quasi sfrontata cocciutaggine di fronte al fatto ineluttabile.

Ma tenere sott'occhio quotidianamente il destino di quel che ne restava mi ha dato l'impressione come se fosse un pò meno morto, in barba al torto subìto e alla violazione della sacralità della vita per mano (o meglio ruota) umana.

E' stato un bello scherzetto, fregare la morte. Mica pizza e fichi.