sabato 28 settembre 2019

LA BUCCIA



Esistono tante ragioni per cui vado in bici, e mi ostino ad usarla per raggiungere il mio luogo di lavoro ogni giorno. Ragioni di ordine pratico, economico-finanziario, etico-morale, che ho già illustrato abbondantemente su questo blog negli anni e non intendo ripetere.
Ce n'è una, invece, che considero prioritaria e il cui perseguimento mi sento chiamato personalmente a inseguire. Una ragione che negli ultimi tempi ha conosciuto una nuova popolarità grazie a un'adolescente scandinava che si è offerta come simbolo di una protesta e di un richiamo verso i vertici decisionali a scelte rapide ed efficaci.
Il tema è quello dell'emergenza climatica del pianeta Terra e della sostenibilità ambientale dello sviluppo umano, ed il richiamo è ad un cambiamento del modo in cui il genere umano trae sostentamento attingendo dalle/trasformando le risorse naturali.

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[Piccola nota a margine: ho detto di ritenere la ben nota adolescente scandinava un simbolo, e solo tale. Pertanto considero patetici e bambineschi gli hooligans che pretendono di sminuire un tema gigantesco come questo semplicemente mirando al suo simbolo di turno, un pò come se si volesse abbattere l'azienda della Coca-Cola distruggendone una lattina di bevanda. A me frega poco dell'arcigna sedicenne biondotrecciuta: il tema e la sua gravità mi era già noto già da prima che nascesse lei, purtroppo. Non ho avuto bisogno dei suoi appelli per trarre le mie conclusioni sull'attuale modello di sviluppo, basato sul capitalismo neoliberista, e per modificare il mio modus vivendi].
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In particolare, desidero condividere una minuscola riflessione di molto tempo fa che, come una goccia, è distillata con il passare del tempo nel più ampio mare del mio ragionamento: l'inquinamento atmosferico.
Ciò che mi impressionò maggiormente fu un dato tratto dalle mie conoscenze professionali nel campo dell'aviazione, che tuttora fornisce le proporzioni di quanto sia piccolo lo sputo grossomodo sferico sul quale vaghiamo nel cosmo: l'altezza dello strato respirabile dell'atmosfera terrestre. 


Ora, questa contiene ossigeno ad una pressione parziale respirabile per l'uomo SOLO PER I PRIMI SETTE CHILOMETRI a partire dalla superficie terrestre.

SETTE CHILOMETRI,

SETTE.

Non cento, mille, centomila: SETTE.


E neppure per TUTTI gli uomini, ma, alle più elevate altitudini, solo per i più allenati.

Quanto sono, che distanza è sette chilometri?

Fateci caso, la prossima volta che usate un veicolo, in quanto tempo consumate una distanza di SETTE CHILOMETRI.

Io li ho misurati spannometricamente come la distanza in cui riesco a riscaldarmi in bici. Oltre quella c'è lo spazio cosmico, dal punto di vista della respirazione, perlomeno.

Quei sette chilometri sono una buccia, una pellicola, una pellicina, un diaframma, un nulla se paragonati alle dimensioni della Terra, che sotto questa luce divenne ai miei occhi ancora più piccola.

Ed il solo pensiero di fumi, vapori, scarichi, scie, sporcizie e scappamenti vari gettati all'aria, un'aria che non conosce confini, la inquini qui ma viene respirata anche in Papuasia, uno scempio che SI SOSTITUISCE PROGRESSIVAMENTE ALL'OSSIGENO ecco, quel pensiero mi ha convinto di quanto poco ci voglia a saturare quel piccolo volume, in connessione al contemporaneo disboscamento massivo, e cosa potessi cambiare di me stesso per non contribuire al sistema.

La bici è solamente uno dei tasselli della mia personalissima soluzione, consapevole del fatto che non si possa applicare esattamente a TUTTI QUANTI (ma qua si potrebbe ragionare a lungo - non lo farò - sulla malcelata sensazione di superiorità morale che sarebbe FIN TROPPO SCONTATO alimentare, ma il discorso è complessissimo e delicato, merita una discussione).

Però io almeno ci provo, finchè reggo.

 

giovedì 15 agosto 2019

LE GUANCE DI PRIMOZ ROGLIC (OVVERO LA SAGGEZZA DEL CRICETO)



 
Nella mia esperienza di ciclista, ho sempre avuto una certa difficoltà ad alimentarmi "in corsa", ovvero senza smettere di pedalare e/o sotto sforzo, in tutte quelle circostanze che lo richiedevano (in viaggio, oppure tornando da lavoro, in allenamento, in gara). Per dirla meglio, ho sempre trovato qualche difficoltà a farlo senza soffocare, masticando E ANCHE respirando.
E questo ha sempre costituito un handicap notevole, perchè è importantissimo assicurarsi un'alimentazione costante soprattutto sulle lunghe distanze, mangiando quel che ti porti dietro (tipicamente barrette o poco altro).
Il proverbio, diffusamente ribadito dal Cittì Cassani, è quello di "bere prima di avere sete, mangiare prima di avere fame": se provi una qualsiasi di queste sensazioni, è già troppo tardi e la cotta è in arrivo.
Ora, la fuliminazione mi è giunta osservando, oziosamente stravaccato sul divano di casa, un occhio chiuso e uno aperto, l'ultimo Giro d'Italia.
Probabilmente esiste da qualche parte anche una registrazione di un gesto, rapido e fugacemente inquadrato dalle telecamere sulle moto, fatto da Primoz Roglic della Jumbo-Visma, poi arrivato terzo.
Il nostro, con perizia consumata, arrivato il momento dedicato all'alimentaizone afferrava una barretta, la spezzava in due dopo averla scartata, e si infilava le due metà una per ciascuna guancia.
L'effetto finale, ripeto: ripreso per una manciata di secondi, era quella di un criceto che fa le scorte. Ma prima di staccare l'inquadratura si vedeva benissimo che, una volta terminata la manovra, con tutta calma iniziava la fase di masticazione lenta, e altrettanto lenta deglutizione, a tutto favore della respirazione.
Beh, che ci si creda o no ho provato anch'io e funziona, sia in allenamento che in gara, e una volta ovviato a questo problemino il mio divertimento è ulteriormente aumentato.
Ma non credo di essere ancora pronto per arrivare terzo in classifica generale al Giro.

domenica 11 agosto 2019

LA CICLABILITA' INIZIA LONTANO DALLE STRADE



Come sappiamo la ciclabilità di un Paese è dapprima una questione culturale, intesa come approccio mentale e politico al tema (che orienta le scelte), ma anche filosofica, di pianificazione, poi calata nei suoi risvolti pratici, quotidiani.
Volendo concentrarci solo sulla mobilità casa-lavoro, e volendone scremare le difficoltà ambientali e di viabilità (conducenti assassini, traffico impazzito, inquinamento atmosferico), i problemi di un ciclista pendolare partono da molto lontano, e implicano aspetti stranissimi, che partendo da una prospettiva obliqua si inseriscono a pieno titolo nel novero delle questioni centrali.
Me ne sono accorto col tempo, mano a mano che mi capitava di condividere le mie esperienze, via via che mi trovavo a rispondere alle domande, a soddisfare le curiosità di chi non mi considerava solamente un eccentrico mattacchione, ma nei miei racconti intuiva un solido stile di vita.
Il mio stupore è sorto improvvisamente nel momento in cui venivo definito, al termine delle conversazioni, "un privilegiato", ed il mio "privilegio": la mia fortuna sfacciata, la mia incommensurabile botta di culo era costituita nientepopòdimenoché dall'avere a disposizione UNA DOCCIA in ufficio, in piena efficienza e utilizzata tutti i giorni.
Addirittura con l'acqua calda.

Una doccia è un privilegio?
In un Paese sedicente occidentale?
Nel 2019?

Una doccia, una stupidissima doccia, viene considerata "un privilegio", l'assenza della quale scoraggia i più dall'avvicinarsi alla bicicletta per recarsi a lavoro.
Scopro quindi che nel mondo reale (non, quindi, nel Paese delle Meraviglie costituito dalla mia occupazione) le persone "normali" NON HANNO LA POSSIBILITA' DI LAVARSI. Neppure una sciacquatina, nulla.
(Mi domando se lavorare in certi ambienti non costituisca un'esperienza olfattiva assai intensa, a prescindere dalla bici...).
Nel momento in cui ho iniziato ad aggiungere che, per sovrammercato, avevo (come tuttora ho) la possibilità di ricoverare la bici al chiuso, addirittura di portarmela in ufficio (e non sono neppure il solo, ho anche un altro collega che lo fa), le conversazioni si sono sempre interrotte, finendo nel nulla del mio sbigottimento e dello scetticismo del mio interlocutore, ormai convinto di star parlando con un alieno, le cui esperienze non sono riproducibili nel mondo "normale".

Ora, si fa un gran parlare delle promozione della mobilità ciclistica, eccezionale tema che è possibile declinare in mille modi, dal turismo lento agli spostamenti in città.
Ma in tema di casa-lavoro in bici, e alle sue benefiche conseguenze decongestionanti per il traffico, a mio insignificante avviso bisognerebbe iniziare molto prima e molto più da lontano dello stanziamento di somme multimilionarie - comunque necessario - per la costruzione delle piste ciclabili.

Secondo me bisognerebbe prevedere un OBBLIGO (e qua sta il VERO PROBLEMA) di inserire negli edifici di nuova costruzione destinati a luogo di lavoro, qualsiasi settore si tratti (non solo industria, quindi, ma anche agricoltura e commercio/terziario), una o più docce con spogliatoio in proporzione all'occupazione media prevista.

Così semplice, tutto qua?

No, non basta.
Bisognerebbe obbligare anche a costituire un ricovero protetto per le bici, alla stessa stregua di quando si asfaltano i parcheggi attorno agli edifici. E nessuno mi venga a paragonare la metratura necessaria per le bici con quella delle automobili, tantopiù che le bici si possono riporre IN VERTICALE.

Per una questione di ragionevolezza non mi spingo a sognare un provvedimento che obblighi i datori di lavoro a mettere mano alle proprie infrastrutture in tempi più rapidi, un pò come accadde ai tempi dell'adeguamento degli esercizi pubblici con il divieto di fumare.

Sono questi piccoli accorgimenti e piccole infrastrutture dedicate, che - mi piace vincere facile - in molti Paesi esteri sono la norma, a contribuire in modo decisivo a superare lo scoraggiamento e lo scetticismo di chi vede il pendolarismo a pedali come uno stile di vita lontano, fuori portata.
Sono "fuori portata" se li si vede da qui, dal nostro piccolo scrigno italiano; le differenze stridenti iniziano a sorgere allorquando "gli stranieri" ci portano in casa i loro esempi, i loro modelli, il loro stile di vita. Tipo Amazon, che nella sua nuova e avveristica sede di Milano-Monte Grappa ha previsto, al piano terra, uno spazio chiuso dove parcheggiare le biciclette, dotato di armadietti per riporre l'attrezzatura e cambiarsi. In Italia, oggi, nel cosiddetto "Paese reale".
Perchè il sale della democrazia è il diritto di scelta di ciascuno, nel rispetto dei doveri propri e diritti altrui, nel rispetto della comunità e delle sue regole, e nel rispetto dell'ambiente naturale.
Perchè le infrastrutture ciclabili sono senza dubbio un tassello essenziale del quadro generale, ma una volta arrivato a lavoro dovrai pur lavarti e cambiarti!!!!


sabato 10 agosto 2019

BENVENUTO NEL CLUB

Mi hai aiutato moltissimo, e per ben tre volte, a organizzare i miei viaggi in Norvegia.
Con una pazienza certosina sei stato lì a imballare la bici con me, condividendo ogni istante di quella preparazione meticolosa, irta di dettagli, intessuta di pensieri, idee e qualche preoccupazione che precedono un viaggio in bicicletta. Oltre a quello, sei riuscito ad  aiutarmi anche quando, in un passaggio critico di una tappa nel Paese scandinavo nel 2016, stavo per perdermi, e come nella celebre situazione dell'Apollo 13 e dello "Houston, abbiamo un problema", in remoto, tu al PC dall'Italia e per telefono, mi hai pilotato attraverso una regione dalla viabilità bizzarra, indirizzandomi nella giusta direzione per evitare di incartarmi su un viadotto vietato alle bici che mi sarebbe costato dozzine di chilometri di deviazione, stanco e a fine giornata.
Ciclista anche tu, ciclopendolare e ciclorandagio, abbiamo condiviso assieme anche giri e giretti nel circondario del Sud Milano, il Parco Agricolo, una micro-randonnée da Cremona a casa, una ciclonotturna dell'Associazione Italiana Il Cicloviaggiatore, una Critical Mass con Sonia, e altro ancora.
Per non parlare delle birrette in cucina, con patatine e chiacchiere annesse, nei pomeriggi della brutta stagione che consentono solo di fare progetti, e ognuno butta lì la propria idea.
Qualche tempo fa ho avuto il piacere di consigliarti nell'acquisto della tua nuova bicicletta, una bici con geometria da viaggio, in alluminio, robusta ma filante. L'abbiamo pulita, lustrata e lubrificata assieme, è un gran bel pezzo di ferramenta e fa egregiamente il proprio dovere.
E con quella stessa bicicletta tu, il mio amico Luca Malossi, sei finalmente riuscito a ritagliarti il tempo tra gli impegni familiari per il tuo primo cicloviaggio di tre giorni, in Abruzzo,da Giulianova a Pescara con un itinerario ad arco lungo il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Posti da me mai visti, sono rimasto a bocca aperta ammirando le tue foto (sei un ottimo fotografo amatoriale), e i tuoi racconti nella telefonata che ti ho fatto la sera del primo giorno.
Valli boscose, territori pressochè selvaggi punteggiati da borghi in cui il tempo è fermo da decenni o secoli, severamente dominati da rocche, castelli e fortezze medioevali che con il tuo fiuto da geek sei riuscito a scovare (io non so proprio se ci sarei riuscito).
Ho riconosciuto nel tono delle tue descrizioni quella inebriante sensazione che ti pervade, un misto di libertà, avventura e pieno possesso di sè e del momento presente; non ho mai smesso di sorridere tra me e me nell'ascoltarti.
Pura gioia del presente indicativo, prima persona singolare.
E allora alzo per te, Luca, una birra celebrativa (in realtà ben più di una, mentre scrivevo), per il tuo AbruzzoBikeTour2019, con l'accesa speranza che sia solo uno splendido inizio.
Congratulazioni, amico mio, sei una persona nuova, e tu lo sai benissimo.
Non posso che augurarmi di riuscire, un giorno o l'altro, a convincerti per un cicloviaggio di una settimana, bici e tenda.
Ma ho molta pazienza e altrettanta determinazione.
Benvenuto nel club.

mercoledì 20 marzo 2019

L'AMORE PER LA BICI

Ciò che contraddistingue il ciclismo dagli altri sport, a mio avviso, è la pervasiva intensità della passione con cui ti può capitare di praticarlo.

Ed è come amare una donna, quando trovi quella giusta.

Perchè, esattamente come l'amore per colei che senti di aver trovato tra altre mille, ti sprofonda dentro e ti sovverte l'animo.

Come una donna che senti di amare, ti chiama ad essere migliore, ti impone di essere all'altezza, ti misuri costantemente con le tue capacità e ti senti misurato, messo alla prova, sempre.

Magari all'inizio non è un colpo di fulmine, magari l'approccio è obliquo e indiretto, ma piano piano i tuoi sensi che si acuiscono ti rivelano un altro mondo, ti regalano sensazioni sconosciute, un pò come fissare la tua donna negli occhi, ricambiato, e perdersi in un bacio morbido e caldo.

Oltrepassi una soglia, e il corso delle tue endorfine, la cascata, il torrente di ormoni del benessere psicofisico ti condannano inesorabilmente a volerne ancora, di più, e di più ancora.

Quella soglia magari è differentemente collocata a seconda degli individui, della loro inclinazione e attitudine, del livello di competitività, e chissà cos'altro.

La mia l'ho oltrepassata quando mi sono accorto di volere solamente FATICARE, di ricercare il sudore, di volere arrivare al termine delle mie energie, una catarsi mediante cui rinascere, depurato.

Il mio approccio è arrivato da un ciclismo dapprima "di trasferimento", andando e tornando da lavoro, dopo un pò tramutatosi in cicloviaggio, il lento viaggiare con tutto il necessario caricato sulla bici.

Poi è arrivato il ciclismo su strada, una nuova bici, nuove sensazioni, nuove prestazioni. E nuovi giri, nuovi panorami, nuove compagnie che si sono aggiunte a quelle storiche.

L'inizio è stato cauto, prendendo come esempio i compagni di squadra del Cassinis Cycling Team e rubando loro segreti e trucchi. 

Non ho mai smesso di andare e tornare da lavoro in bici, col risultato che, usando la bici da strada, ho iniziato a impiegarci fino a un quarto d'ora in meno, prendendoci MOLTO gusto.

Sono arrivate anche le gare amatoriali, le Granfondo, e le loro messi di soddisfazioni per essere arrivato alla fine, io puntino colorato in mezzo ad altre centinaia di puntini colorati, immerso in scenari da favola (l'Italia osservata dalla bicicletta è una delle cose per cui vale la pena avere vissuto).

Questo percorso di crescita è stato come porre le basi per un fidanzamento, per una convivenza, per un matrimonio. Le tue intenzioni si fanno serie, ti poni degli obiettivi di peso, percorrenza, dislivello; inizi a fare sacrifici moderandoti ai pasti e alzandoti a orari inumani per uscire ad allenarti, con ogni stagione.

Inizi a respirare la bici, a mangiarla, a pensarla spesso, a pianificare sempre nuovi giri, per scoprire nuove salite per allenarti.

Come un'amore per una donna, anche la passione per la bici può lentamente divenire molesta, ossessiva.

Passi ore a pulirla, sgrassarla, lubrificarla, osservandone i graffietti e cercando di ricordarti se quello sul fodero posteriore destro l'avevi già visto la volta precedente oppure è fresco appena fatto, o se la bottarella sul tubo obliquo l'hai fatta caricando la bici in auto oppure appoggiandola con poca cura.

Quando non hai la possibilità di pedalare e disperderti  su un nastro di asfalto ti senti ingabbiato, irascibile, nervoso, aggressivo. La tua passione DEVE trovare una sublimazione altrimenti non stai bene. Arrivi a provare ansia da prestazione, al solo pensiero di pedalare; avverti un richiamo lontano, la muscolatura si contrae nel riflesso spontaneo di una pedalata. Seguire una competizione professionistica in televisione ti fa salire il fiatone, te ne stai seduto sul divano con le gambe che oscillano ritmicamente. E non ci puoi fare nulla.

E come ogni amore molesto, ti può fare male. Non ti rendi conto che, magari, prenderti qualche giorno di riposo tra allenamenti del weekend e il pendolarismo della settimana lavorativa potrebbe farti bene. Ma tu ormai sei fissato, e lo consideri un torto a te stesso, un cedimento, un'occasione sprecata, un delitto.

La tua donna, quella VERA che ti sta accanto, quella CHE TI AMA nel mondo reale, ti sta osservando già da un pò, e ha cercato di farti ragionare, ti ha fatto notare il crescente squilibrio, e ti ha messo in guardia. Tu però te ne stai nella tua bolla, e la sua saggezza non ti raggiunge.

Fino a quando non arriva il patatrac. Di punto in bianco il tuo corpo non risponde, ed il solo pensiero di salire in bici ti ripugna. Non hai più voglia, ti blocchi. Non capisci, ti spaventi, cerchi di aggrapparti alla tua motivazione, la ricerchi affannosamente nei recessi del tuo animo, vuoi capire perchè.

Più ti sforzi, e meno ne esci indenne. L'unica soluzione è destrutturare, retrocedere, disassemblare. Come due amanti in crisi, l'unica soluzione è prendersi una pausa.

Abbandoni per un pò la bici per andare a lavoro (ultimamente nubi scure di rabbia ti offuscavano la gioia dell'imminente primavera, stufo com'eri di stare sempre a culo stretto e sempre all'erta verso gli automobilisti, forieri di continue distrazioni alla guida, angherie e sgarbi). Allenti un pò l'attenzione col cibo (senza scofanarti l'inverosimile, diciamo ti rilassi con conto delle calorie). Ti distrai con altri interessi (ci provi, perlomeno).

Però il vuoto lo senti. Ti convinci che è solamente un periodo, poi tutto passa.

E in effetti, dopo un pò la pausa forzata e il maggior riposo sortiscono gli effetti sperati. Il tuo orientamento cambia, hai di nuovo voglia di saltare in sella e misurarti con la fatica e con il tuo limite. La sensazione di blocco non è più insuperabile, ti basta vincere quell'incertezza iniziale, il primo colpo di pedale, e sei come una farfalla che fuoriesce dalla crisalide.

Assapori nuovamente il fruscio delle ruote, la contrazione delle tue gambe, e anche se ti imponi di non forzare ricominci ad andare, a spingere, a ricercare la fatica. Il tuo benessere subentra nonappena oltrepassi i 152 bpm.

Ed è esattamente come ritrovarsi con la persona amata.

Ora sei diverso, un pò meno sognatore, forse, ma la passione è passione, e se gustata con giudizio DURA UNA VITA INTERA.


[PS: tutto vero, sperimentato personalmente negli ultimi tre mesi]