Apro gli occhi.
Azzurro. Sto fissando il
cielo più azzurro che mi ricordi da un bel pezzo in qua.
Sotto le mani una
sensazione morbida e fresca di erba.
Il vento risale dalla
valle alla mia destra, accarezza gli alberi ottenendone una sottile musica.
Mi concedo il tempo per
riprendermi, assaporando un senso alla volta.
Mi riscuoto e mi metto a
sedere. Il cartello davanti a me, dall'altra parte della strada più in basso a
trenta metri, mi ricorda che sono sul valico del Col de Sorba, a 1.311 metri
nel cuore della Corsica. E' talmente malconcio, graffiato, scrostato,
pasticciato e vilipeso che le indicazioni originarie si devono quasi intuire.
Sono tre giorni che
pedalo in montagna nel centro dell'isola, e mi sono guadagnato un pò di respiro
dopo la canicola soffocante della costa occidentale.
Sono arrivato qui
salendo da Ghisoni, dove al locale emporio la commessa più racchia e al
contempo gentile del cosmo mi ha fatto scoprire un salume locale, rivelatosi
alla prova dei fatti una leccornia.
Ed è con quel sapore in
bocca e lo stomaco pieno che ripercorro mentalmente la mattinata.
Il risveglio nella
piazzola sottostante il rifugio sul Col de Verde, in tenda in mezzo al bosco.
L'aria fina che mi schiaffeggia
nonappena metto il naso fuori, e il brulichìo degli altri escursionisti che
ripongono tutte le loro cose prima di riprendere la via.
La fila all'unico
lavabo, all'aperto e senza acqua calda, in un diffuso vociare
transalpino. Atmosfera promiscua e cameratesca.
Il gestore del rifugio
che, sporgendosi dalla balconata verso le sottostanti piazzole, caccia un urlo
inconfondibile richiamando tutti alla colazione. Pane grezzo cotto a legna, due
tipi di marmellata, cioccolata calda.
L'usuale raccolta e
impacchettamento di tutte le mie cose, le foto di rito, la partenza in discesa,
a freddo e lungo un crinale in ombra, che impone di coprirmi bene, a dispetto
dell'ultima decade di un giugno che altrove cuoce le persone a fuoco lento.
I tre quarti d'ora di
curve, tornanti e controtornanti ammantati di bosco, senza girare un pedale e
senza traccia di vita umana, avvertendo sensibilmente la temperatura crescere
al diminuire della quota.
La pausa per la seconda
colazione sulla sponda in pietra di un ponticello, e la voglia di un caffé
caldo prontamente soddisfatta con fornelletto e caffettiera (la magia
dell'essere autonomo in bicicletta).
La spesa all'emporio, il
pane appena sfornato, caldo e croccante.
I quasi venti chilometri
di salita fino al Col de Sorba, con la visuale aperta verso est, e cime
imponenti che osservano senza scomporsi la formica a pedali.
Il "Bon
appetit" rivolto agli operai del cantiere stradale che stanno consumando
il loro pranzo compitamente seduti in fila a bordo strada, e il loro
"Merci" all'unisono.
L'arrivo al valico,
schivando una mucca al centro della strada, per niente infastidita.
Il pranzo con pane e
salame freschi, osservando il viavai dei turisti da una posizione leggermente
sopraelevata.
Godermi lo stupore di
chi, soffermandosi per qualche foto o per ammirare il paesaggio, mi vede con la
bici e trasecola. Un signore un pò più audace mi dà esplicitamente del pazzo.
E' il penultimo giorno
del mio giro in Corsica, e nei prossimi minuti comincerà l'ultima vera discesa,
in direzione di Corte.
Ci sono luoghi in cui
esiste solo il presente indicativo. Luoghi nei quali tu SEI, STAI, SENTI, VIVI.
Luoghi dapprima immaginati a lungo, e poi raggiunti sudando, concentrando le
tue forze, avvertendo lo scorrere della strada sotto le tue ruote, un giorno
dopo l’altro, una sosta dopo l’altra, un respiro dopo l’altro. Luoghi magari in
culo al mondo, dai quali osservare un deserto, un oceano, o le vette
circostanti. E tu stai lì, SEI lì.
Chiudi gli occhi, il tuo spirito affamato e
assetato di vita che metabolizza la stanchezza depurando l’esperienza come la pula dal grano, i tuoi
sensi si racchiudono e nel buio delle palpebre il tuo essere, il tuo stare, il
tuo sentire si comprimono sempre più velocemente verso un punto solo dentro di
te, il baricentro del tuo universo, l’asse di rotazione del tuo personalissimo
pianeta.
Tutte le strade che hai percorso, i passi che hai fatto, le persone
che hai incontrato, i tuoi errori, le emozioni, gli scenari ai quali hai
assistito da solo - con la certezza che non avrai mai aggettivi, parole o
immagini per poterli raccontare, e allora te li tieni dentro te, dolci e densi –
tutto ciò che hai vissuto viene attratto in silenzioso tumulto diventando quel solo, infinitesimo
punto - adesso è visibile, lo senti, è lo scrigno delle
tue motivazioni - e acquista un nuovo come, un nuovo perché.
E quando tutto è concentrato
in quel solo punto, come un'ineludibile domanda, allora, dopo un istante, questo tutto fornisce la sua risposta, ed esplode.
Riapri gli occhi bevendo sorsate d’aria come dopo un’apnea, i tuoi sensi acuiti da questa tua nuova consapevolezza, ogni tua azione è più piena, ogni nuovo pensiero più maturo.
Mi sento in alto, non
solo dal punto di vista della quota geografica.
Faccio il pieno di
quest'aria, di questa luce, di questi odori, di queste sensazioni, qui e ora, ma allo
stesso tempo per la prima volta scaturisce il pensiero di tornare a casa.
Nel momento in cui salgo
in bici per riprendere la strada so di non essere la stessa persona che da
quella stessa bici è scesa un'ora fa.
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