Credo sia passato un periodo di tempo congruo dalla fine del viaggio (circa due mesi) per far decantare i ricordi e scremare le prime impressioni avute, e poi rimaste.
Alla fine il viaggio è durato esattamente come pianificato, dal 19 Agosto al 02 Settembre. L'itinerario percorso, invece, ha subìto una variazione nel finale, come vedremo: Oslo, Kongsberg, Norefjord, Geilo (un giorno di sosta), Finse, Flåm (dove ho passato una notte perchè per mezz'ora ho perso l'unico battello della giornata), Førde, Camp. Birkeland, Bergen, ritorno in treno notturno a Oslo. In pratica sono riuscito a realizzare l'ultima variante che mi era saltata in mente poco prima di partire, descritta nel post sulla volata finale, e mostrata in questa mappa.
E' stato il primo viaggio privo di un diario scritto lungo il cammino: le giornate sono state così intense e impegnative da assorbire ogni risorsa mentale e di tempo, per gestire tutto e per affogare nei panorami visti. Ogni istante è stato declinato al presente indicativo, e non ha lasciato spazio, se non qualche scampolo, alla scrittura di appunti.
Nei primi giorni ho dovuto adattarmi un pò a causa del cattivo tempo. Dopo i primi tre giorni fatti con la pioggia, infatti, una volta arrivato a Geilo ho preferito anticipare il giorno di sosta che avevo previsto di fare in seguito per lasciar passare la coda di una perturbazione. La scelta ha pagato, e con gli interessi: la seconda settimana di viaggio, infatti, ho trovato condizioni meteorologiche semplicemente spettacolari, in pratica ho trovato in Norvegia quell'estate che in Italia non è mai decollata.....
Nei primi giorni ho dovuto adattarmi un pò a causa del cattivo tempo. Dopo i primi tre giorni fatti con la pioggia, infatti, una volta arrivato a Geilo ho preferito anticipare il giorno di sosta che avevo previsto di fare in seguito per lasciar passare la coda di una perturbazione. La scelta ha pagato, e con gli interessi: la seconda settimana di viaggio, infatti, ho trovato condizioni meteorologiche semplicemente spettacolari, in pratica ho trovato in Norvegia quell'estate che in Italia non è mai decollata.....
Gli scenari, i paesaggi, i colpi d'occhio tra l'azzurro intenso del cielo ed il verde delle creste boscose riflesse sugli specchi d'acqua, ho vissuto giornate dall'impatto visivo notevolissimo.
Sia i fondovalle a vocazione agricola tra Oslo e Kongsberg, che le cime muschiose e torbose attraversate sulla Rallarvegen offrono scorci ad ogni sguardo. Non invidio chi, appassionato di fotografia, si dovesse trovare a percorrere lo stesso tragitto, e per poter avanzare a una velocità media dignitosa esser costretto a fare delle rinunce dolorose...
Ovunque c'è acqua: dolce, salata, rivoli, gocce, cascatelle, nevai, spioventi, fiumi, laghi, fiordi, ruscelli, ghiacciai, torrenti, nebbiolina. Il regno del punto triplo.
In pochi giorni mi sono talmente riempito gli occhi di bellezze paesaggistiche che, sul finire della seconda settimana e con l'incombere di una seconda perturbazione (stavolta il definitivo arrivo dell'autunno scandinavo), ero sazio. Ovvero, nei limiti del mio viaggio, non avrei avuto più nulla di nuovo da vedere lungo il cammino (che, anzi, con la pioggia sarebbe divenuta una specie di coazione a ripetere fine a sè stessa), e ho deciso di concentrarmi sulle città. Ho così "tagliato" gli ultimi due giorni che avevo pianificato di fare in bici, "accorciando" grazie al battello veloce che partendo da Flåm giunge a Bergen lungo il Sognefjord. Come risultato ho guadagnato un pomeriggio a Bergen e un weekend a Oslo.
Salita. Tanta, davvero tanta. La Norvegia, soprattutto lungo l'itinerario da me scelto, necessita della giusta attitudine mentale. Non va sottovalutata affatto: da un rapido calcolo fatto grazie a Google Earth al ritorno ho scoperto di avere accumulato in nove giorni di pedale netto circa 18.000 mt. Una media di 2.000 mt al giorno scalati, e sulla Rallarvegen anche su fondo per ampi tratti sconnesso o addirittura accidentato. Mai salite proibitive ma una continua sequenza di saliscendi: in Norvegia, vuoi per la nota sensibilità ambientale, vuoi per le difficoltà dovute al terreno prevalentemente roccioso, la viabilità ordinaria manca di infrastrutture che affrontino le altimetrie. Se il profilo del terreno sale, bene, la strada sale, e sali pure tu. No ponti, viadotti, scavi, tunnel a ogni piè sospinto, ma solo dove strettamente necessario. Dal punto di vista ciclistico è una pacchia, un continuo stimolo alla sfida e appagante alla fine, ma, lo ripeto, da non sottovalutare.
Sia i fondovalle a vocazione agricola tra Oslo e Kongsberg, che le cime muschiose e torbose attraversate sulla Rallarvegen offrono scorci ad ogni sguardo. Non invidio chi, appassionato di fotografia, si dovesse trovare a percorrere lo stesso tragitto, e per poter avanzare a una velocità media dignitosa esser costretto a fare delle rinunce dolorose...
Ovunque c'è acqua: dolce, salata, rivoli, gocce, cascatelle, nevai, spioventi, fiumi, laghi, fiordi, ruscelli, ghiacciai, torrenti, nebbiolina. Il regno del punto triplo.
In pochi giorni mi sono talmente riempito gli occhi di bellezze paesaggistiche che, sul finire della seconda settimana e con l'incombere di una seconda perturbazione (stavolta il definitivo arrivo dell'autunno scandinavo), ero sazio. Ovvero, nei limiti del mio viaggio, non avrei avuto più nulla di nuovo da vedere lungo il cammino (che, anzi, con la pioggia sarebbe divenuta una specie di coazione a ripetere fine a sè stessa), e ho deciso di concentrarmi sulle città. Ho così "tagliato" gli ultimi due giorni che avevo pianificato di fare in bici, "accorciando" grazie al battello veloce che partendo da Flåm giunge a Bergen lungo il Sognefjord. Come risultato ho guadagnato un pomeriggio a Bergen e un weekend a Oslo.
Salita. Tanta, davvero tanta. La Norvegia, soprattutto lungo l'itinerario da me scelto, necessita della giusta attitudine mentale. Non va sottovalutata affatto: da un rapido calcolo fatto grazie a Google Earth al ritorno ho scoperto di avere accumulato in nove giorni di pedale netto circa 18.000 mt. Una media di 2.000 mt al giorno scalati, e sulla Rallarvegen anche su fondo per ampi tratti sconnesso o addirittura accidentato. Mai salite proibitive ma una continua sequenza di saliscendi: in Norvegia, vuoi per la nota sensibilità ambientale, vuoi per le difficoltà dovute al terreno prevalentemente roccioso, la viabilità ordinaria manca di infrastrutture che affrontino le altimetrie. Se il profilo del terreno sale, bene, la strada sale, e sali pure tu. No ponti, viadotti, scavi, tunnel a ogni piè sospinto, ma solo dove strettamente necessario. Dal punto di vista ciclistico è una pacchia, un continuo stimolo alla sfida e appagante alla fine, ma, lo ripeto, da non sottovalutare.
Alla questione altimetrica si affianca una questione etnografica: se chiedete a un Norvegese, uomo o donna non fa differenza, informazioni sul tracciato che vi apprestate ad affrontare su una bici carica di bagagli, invariabilmente la risposta sarà rassicurante e incline a descrivere una passeggiatina. Salvo scoprire, quando ormai è troppo tardi per cercare un'alternativa, che la "passeggiatina" si rivela un falsopiano al 7% senza accenno di tornanti, per 7 km. A me è successo TRE VOLTE, in differenti circostanze di luogo e di interlocutore (età e genere): troppe per essere un caso. E' che lassù vive gente tostissima: ovunque se ne notano tantissimi a correre per le strade, o in bici, o con i roller ski, o in giro per bricchi zaino in spalla. Per loro è così, cosa vuoi che sia: mandano il ragazzino a prendere il pane, dal lato opposto di un 7% per 7 km, in bici, e quello va e torna pure in tempo per la cena.
L'orgoglio nazionale norvegese regna sovrano ovunque: il guidone con i colori nazionali svetta dappertutto, soprattutto nelle fattorie. Ogni casa possiede la propria asta portabandiera bianca con pomello sferico in cima: la presenza o meno del guidone issato indica se l'abitazione è rispettivamente occupata o meno. Adesivi, paccottiglia e merchandising assortito con i colori nazionali sono una delle caratteristiche del paesaggio urbano.
Ho sperimentato una notevolissima curiosità attorno ad un viaggiatore in bicicletta: sono stato avvicinato molte volte per sapere da dove venissi, dove andassi, di dove fossi. Una curiosità spontanea e aperta, gioviale e cortese, sana, quasi fanciullesca. In molti mi hanno chiesto il permesso di fotografare la bicicletta carica di bagagli, qualcuno si è addirittura interessato alla bandierina coi quattro mori montata sul portapacchi posteriore. Un signore, letteralmente spuntato fuori dal nulla in mezzo al cammino, riconoscendo la bandiera sarda si è lanciato in una dotta disquisizione sui differenti significati del mare per i Sardi e per i Norvegesi: la distruzione e la rovina per i primi (dal mare da sempre storicamente sono giunte invasioni e dominazioni straniere), la vita e la prosperità per i secondi (la pesca e l'industria petrolifera off-shore). In Italia tuttalpiù mi capitò di sentirmi domandare quale genere di colpa dovessi espiare, per imbarcarmi in una tale impresa....
Quanto alla scelta dei materiali per il viaggio, direi che ho sbagliato poco. La tenda nuova ha pienamente soddisfatto le aspettative, e così il resto. Forse in alcuni frangenti ero vestito troppo pesante, ma non potevo sapere prima quale spettacolo di clima avrei trovato.
La scelta dei materiali - in particolare l'equipaggiamento della bicicletta - ha pagato soprattutto per l'usura alla quale sono stati sottoposti, e alla quale hanno resistito egregiamente.
Specialmente i copertoni, usurati, vilipesi e insultati da dozzine di chilometri di pietraia:
Eccetto per il portapacchi anteriore che si è sganciato una volta per lato (la vite di tenuta si è lentamente svitata da sola a causa delle intense vibrazioni indotte dal fondo sconnesso della Rallarvegen), non ho avuto alcuna noia meccanica. Non una foratura, non un salto di catena, nulla. E questo nonostante il trasporto bici in aereo, modalità particolarmente critica (come ho già avuto modo di spiegare...). Prosegue così la fortunata sequenza dei miei viaggi in bici senza una noia....
Quanto alla qualità dei campeggi in Norvegia, dimenticatevi seduta stante i villaggi con animazione e spettacolino serale che infestano le nostre coste. Dimenticate l'acquagym, i giochi in spiaggia, gli annunci con l'altoparlante, le colonnine della corrente elettrica, la toilette riscaldata. Se molti dei campeggi nei quali ho pernottato fossero stati in Italia, dubito fortemente che avrebbero mai avuto il permesso dell'ASL ad aprire i battenti. Luoghi - a dire poco - spartani. Lì si manifesta il vero, originale e originario contatto con la natura, in quanto non vi è presenza alcuna di recinzioni, di illuminazione, a volte neppure di vialetti interni. I campeggi sono un enorme prato con una struttura più o meno al centro, che racchiude i servizi o definiti tali. Capita che la stessa casa in legno sia suddivisa con tramezzi per ricavare bagni uomini, bagni donne, lavabo piatti, cucina e lavanderia. Il tutto in venti metri quadrati. Intendiamoci, non manca nulla dell'essenziale: c'è di che lavarsi, fare i propri bisogni, cucinare, lavare i piatti e la biancheria (quest'ultima non dappertutto), ma tutto senza fronzoli, nulla di più che lo stretto indispensabile e strettamente funzionale allo scopo. Ad un italiano quadratico medio di oggi, per adattarsi ad un simile stile basico è fortemente necessaria una catarsi, una spoliazione interiore di tutto ciò che è strettamente inutile. Non è infatti scontato che si riesca neanche a trovare la corrente elettrica per ricaricare lo smartphone (traggggedia & raccccapriccio).
Per il resto, ça va sans dire, needless to say, neppure a dirlo, ordine e pulizia ovunque. E qui mi fermo per non scivolare nell'ovvio. Però una menzione speciale va allo stile di guida nordico: è davvero così come ce lo immaginiamo, prudente, soffice e rispettoso. Ripeto, mi fermo qua.
Seguirà il diario di viaggio (e speriamo di ricordarmi tutto.....)
La scelta dei materiali - in particolare l'equipaggiamento della bicicletta - ha pagato soprattutto per l'usura alla quale sono stati sottoposti, e alla quale hanno resistito egregiamente.
Specialmente i copertoni, usurati, vilipesi e insultati da dozzine di chilometri di pietraia:
Eccetto per il portapacchi anteriore che si è sganciato una volta per lato (la vite di tenuta si è lentamente svitata da sola a causa delle intense vibrazioni indotte dal fondo sconnesso della Rallarvegen), non ho avuto alcuna noia meccanica. Non una foratura, non un salto di catena, nulla. E questo nonostante il trasporto bici in aereo, modalità particolarmente critica (come ho già avuto modo di spiegare...). Prosegue così la fortunata sequenza dei miei viaggi in bici senza una noia....
Quanto alla qualità dei campeggi in Norvegia, dimenticatevi seduta stante i villaggi con animazione e spettacolino serale che infestano le nostre coste. Dimenticate l'acquagym, i giochi in spiaggia, gli annunci con l'altoparlante, le colonnine della corrente elettrica, la toilette riscaldata. Se molti dei campeggi nei quali ho pernottato fossero stati in Italia, dubito fortemente che avrebbero mai avuto il permesso dell'ASL ad aprire i battenti. Luoghi - a dire poco - spartani. Lì si manifesta il vero, originale e originario contatto con la natura, in quanto non vi è presenza alcuna di recinzioni, di illuminazione, a volte neppure di vialetti interni. I campeggi sono un enorme prato con una struttura più o meno al centro, che racchiude i servizi o definiti tali. Capita che la stessa casa in legno sia suddivisa con tramezzi per ricavare bagni uomini, bagni donne, lavabo piatti, cucina e lavanderia. Il tutto in venti metri quadrati. Intendiamoci, non manca nulla dell'essenziale: c'è di che lavarsi, fare i propri bisogni, cucinare, lavare i piatti e la biancheria (quest'ultima non dappertutto), ma tutto senza fronzoli, nulla di più che lo stretto indispensabile e strettamente funzionale allo scopo. Ad un italiano quadratico medio di oggi, per adattarsi ad un simile stile basico è fortemente necessaria una catarsi, una spoliazione interiore di tutto ciò che è strettamente inutile. Non è infatti scontato che si riesca neanche a trovare la corrente elettrica per ricaricare lo smartphone (traggggedia & raccccapriccio).
Per il resto, ça va sans dire, needless to say, neppure a dirlo, ordine e pulizia ovunque. E qui mi fermo per non scivolare nell'ovvio. Però una menzione speciale va allo stile di guida nordico: è davvero così come ce lo immaginiamo, prudente, soffice e rispettoso. Ripeto, mi fermo qua.
Seguirà il diario di viaggio (e speriamo di ricordarmi tutto.....)