Periferia sudest di Milano, uno dei ponti sul Lambro, in uno dei tratti in cui il fiume lambisce il centro abitato nel suo corso dalle auguste alture del Ghisallo, scivolando tra i capannoni della Brianza felix, quando torna in apnea dopo un chilometro scarso di respiro accanto al Parco Monluè, stretto poi tra un bruttissimo quartiere e capannoni logistici, diretto a morire nel Po tra i campi del Parco Sud e la bassa pavese. Vilipeso - come ormai quasi tutto lo scenario urbano - dallo scempio viabilistico e automobilistico imperante.
Questo ponte, dicevo, non particolarmente bello, nè scenico, nè interessante, è uno dei passaggi fissi del mio pendolarismo quotidano verso il luogo di lavoro,
Una mattina di un giorno di tardo inverno, su questo ponte, compare una bicicletta legata. Niente di blindato, quasi con noncuranza, una semplice catenella rivestita di plastica agganciata alla balaustra metallica. Una bici da passeggio/touring con telaio da donna, di marca francese, integra e ben tenuta, non nuova ma dignitosamente portata con la sua tinta indaco-bluette. Poggia sul suo cavalletto quasi a comunicare una sosta temporanea, sta lì ma solo per qualche minuto perchè il proprietario aveva un'incombenza nei paraggi. Quasi a rassicurare che tra breve si riparte, state tranquilli. Un pò come il cavallo fuori dal saloon.
Al ciclista, quello che è ciclista "dentro", la vista trasmette quel filo di apprensione per quel modo degagè di assicurare la bici, assai vulnerabile alle cattive intenzioni altrui. Verrebbe quasi voglia di montare la guardia, istituire dei turni di sorveglianza, soprattutto notturna, per tenere lontani i malintenzionati.
Grande e crescente è perciò la sorpresa nel ritrovare la dueruote al proprio posto, intatta e immobile, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, assorbita dal panorama urbano mentre la stagione vira dal fresco invernale al tepore primaverile, sino al caldo estivo. Non una traccia di manomissione, neppure di spostamento, il cavallo fuori dal saloon attende paziente il ritorno del proprio padrone. Iniziano a sorgermi i primi interrogativi: a cosa sarà dovuta cotanta negligenza? La bici sarà legittimamente detenuta, oppure sarà frutto di bottino? La ciclista (che non sai ma che tu hai deciso) sarà stata male? Avrà avuto un malanno? Una velata inquietudine mi insorge al pensiero di sventura, causa dell'abbandono del garbato mezzo a pedali a margine di una strada brutta e trafficata.
A ogni passaggio quotidiano butto un'occhiata cercando di scorgere i segnali di vita di uno spostamento della bici, di una diversa rotazione del manubrio, ma nulla. Osservo però il lento incedere di un tralcio di erbaccia rampicante, dapprima tenero virgulto e via via audace rametto, che con gentilezza vegetale si eleva dal tristo asfalto per esplorare le geometrie metalliche del telaio, facendosene supporto per raggiungere maggiori altezze, più luce, più aria.
E' una carezza, un tenero abbraccio verso il mezzo di trasporto inventato dall'uomo più prossimo alla Natura. E' un riconoscere l'affinità, l'innocuità di una tecnologia non predatoria, qualcosa che già da tempo le popolazioni scandinave affermano quando allestiscono gli arredi da giardino con vecchie biciclette pitturate in modo sgargiante e allestite come portavasi.
Seguo per giorni l'avventurarsi del sottile esploratore verde attraverso pieni e cavi della bicicletta, rimasta immota e negletta quasi come gli ippopotami con le garzette quando puliscono le loro fauci. Lento ma inesorabile, il rametto si avviluppa da un pedale al tubo piantone, su su sul tubo obliquo, e nel protendersi verso il manubrio pare quasi studiare il modo di mettersi alla guida e partire, chiudendo le manopole con due foglioline e pedalando con le radici.
Con la bella stagione il fogliame si fa più ricco, mi immagino il dialogo tra i due:
- "Ho caldo, sono ferma qui da mesi, ormai, ed è estate con tutto questo sole";
- "Ti proteggo io, lasciami solo il tempo di buttar fuori le foglie e ti faccio vedere il fresco, che neanche in discesa dallo Stelvio".
Mi capita, verso la fine dell'estate, di interrompere per un breve periodo il mio andirivieni casa-ufficio. Al ritorno, niente più bici nè rametto.
La sensazione è come se fosse sparito un pezzo di città, che so: un ponte, un palazzo, una caratteristica importante del panorama cittadino.
Un vuoto, piccolo ma c'è.