mercoledì 24 maggio 2023

LA FOTO CHE NON HO MAI FATTO

Periferia sudest di Milano, uno dei ponti sul Lambro, in uno dei tratti in cui il fiume lambisce il centro abitato nel suo corso dalle auguste alture del Ghisallo, scivolando tra i capannoni della Brianza felix, quando torna in apnea dopo un chilometro scarso di respiro accanto al Parco Monluè, stretto poi tra un bruttissimo quartiere e capannoni logistici, diretto a morire nel Po tra i campi del Parco Sud e la bassa pavese. Vilipeso - come ormai quasi tutto lo scenario urbano - dallo scempio viabilistico e automobilistico imperante.

Questo ponte, dicevo, non particolarmente bello, nè scenico, nè interessante, è uno dei passaggi fissi del mio pendolarismo quotidano verso il luogo di lavoro,  

Una mattina di un giorno di tardo inverno, su questo ponte, compare una bicicletta legata. Niente di blindato, quasi con noncuranza, una semplice catenella rivestita di plastica agganciata alla balaustra metallica. Una bici da passeggio/touring con telaio da donna, di marca francese, integra e ben tenuta, non nuova ma dignitosamente portata con la sua tinta indaco-bluette. Poggia sul suo cavalletto quasi a comunicare una sosta temporanea, sta lì ma solo per qualche minuto perchè il proprietario aveva un'incombenza nei paraggi. Quasi a rassicurare che tra breve si riparte, state tranquilli. Un pò come il cavallo fuori dal saloon.

Al ciclista, quello che è ciclista "dentro", la vista trasmette quel filo di apprensione per quel modo degagè di assicurare la bici, assai vulnerabile alle cattive intenzioni altrui. Verrebbe quasi voglia di montare la guardia, istituire dei turni di sorveglianza, soprattutto notturna, per tenere lontani i malintenzionati.

Grande e crescente è perciò la sorpresa nel ritrovare la dueruote al proprio posto, intatta e immobile, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, assorbita dal panorama urbano mentre la stagione vira dal fresco invernale al tepore primaverile, sino al caldo estivo. Non una traccia di manomissione, neppure di spostamento, il cavallo fuori dal saloon attende paziente il ritorno del proprio padrone. Iniziano a sorgermi i primi interrogativi: a cosa sarà dovuta cotanta negligenza? La bici sarà legittimamente detenuta, oppure sarà frutto di bottino?  La ciclista (che non sai ma che tu hai deciso) sarà stata male? Avrà avuto un malanno? Una velata inquietudine mi insorge al pensiero di sventura, causa dell'abbandono del garbato mezzo a pedali a margine di una strada brutta e trafficata.

A ogni passaggio quotidiano butto un'occhiata cercando di scorgere i segnali di vita di uno spostamento della bici, di una diversa rotazione del manubrio, ma nulla. Osservo però il lento incedere di un tralcio di erbaccia rampicante, dapprima tenero virgulto e via via audace rametto, che con gentilezza vegetale si eleva dal tristo asfalto per esplorare le geometrie metalliche del telaio, facendosene supporto per raggiungere maggiori altezze, più luce, più aria.

E' una carezza, un tenero abbraccio verso il mezzo di trasporto inventato dall'uomo più prossimo alla Natura. E' un riconoscere l'affinità, l'innocuità di una tecnologia non predatoria, qualcosa che già da tempo le popolazioni scandinave affermano quando allestiscono gli arredi da giardino con vecchie biciclette pitturate in modo sgargiante e allestite come portavasi.

















Seguo per giorni l'avventurarsi del sottile esploratore verde attraverso pieni e cavi della bicicletta, rimasta immota e negletta quasi come gli ippopotami con le garzette quando puliscono le loro fauci. Lento ma inesorabile, il rametto si avviluppa da un pedale al tubo piantone, su su sul tubo obliquo, e nel protendersi verso il manubrio pare quasi studiare il modo di mettersi alla guida e partire, chiudendo le manopole con due foglioline e pedalando con le radici.

Con la bella stagione il fogliame si fa più ricco, mi immagino il dialogo tra i due:
- "Ho caldo, sono ferma qui da mesi, ormai, ed è estate con tutto questo sole";
- "Ti proteggo io, lasciami solo il tempo di buttar fuori le foglie e ti faccio vedere il fresco, che neanche in discesa dallo Stelvio".

Mi capita, verso la fine dell'estate, di interrompere per un breve periodo il mio andirivieni casa-ufficio. Al ritorno, niente più bici nè rametto.

La sensazione è come se fosse sparito un pezzo di città, che so: un ponte, un palazzo, una caratteristica importante del panorama cittadino.

Un vuoto, piccolo ma c'è.

sabato 20 giugno 2020

MiBor 2020

Sembra il nome di un indice di borsa, uno di quelli che con un numerello buttato là sintetizzano la rovina o l'esaltazione degli speculatori, quattrini gettati alle ortiche oppure moltiplicati dal nulla.

E invece no, non è un indice azionario, non si scambia sul mercato, ma promette altrettanta esaltazione: MiBor 2020 è il nome del viaggio in bicicletta di cinque giorni da Milano a Bormio assieme al mio amico Luca, inventato letteralmente in un paio di ore e qualche messaggio su whatsapp, quale diretta conseguenza del coperchio che saltava dopo due mesi di arresti domiciliari dovuti all'emergenza COVID-19.

Fondamentalmente il tracciato che seguiremo è piuttosto noto a tutti e due, ma è lo spirito che sta facendo la parte maggiore: finalmente io sperimenterò per la prima volta un viaggio in compagnia, e Luca consoliderà la propria esperienza inaugurata lo scorso anno in Abruzzo.


L'impostazione sarà "bici+tenda", con tutto il necessario per dormire, cucinare, lavare, in autonomia. Un viaggio in salita, dalla pianura al fiume, al lago e poi alla valle, e sù sul monte: attraverseremo Milano che si risveglia, percorreremo tutta la Martesana, risaliremo l'Adda fino a Lecco, poi saliremo in Valsassina, riscenderemo sul lago, quindi Colico e il Pian di Spagna, reincontreremo l'Adda e solcheremo la Valtellina lungo il famoso tracciato ciclopedonale; tappa a Tirano (in hotel, ma solo perchè la località non offre campeggi), e giungeremo a Bormio il quarto giorno. In ultimo, ci cimenteremo nella salita (senza bagagli!!) sino ai Laghi di Cancano. Termineremo il viaggio con una galoppata tardo-pomeridiana in discesa da Bormio a Tirano, per l'ultimo treno della giornata (capotreno permettendo, data la malevolenza di Trenord verso i ciclisti).

Diversamente da quanto si possa pensare, nelle nostre aspettative sarà proprio l'assenza di grosse incognite il fattore che giocherà a favore di un'esperienza placida, tranquilla, serena e a misura di pedale.

Abbiamo approfittato di un allineamento di pianeti, visto che - a causa dei reciproci impegni di lavoro - non siamo mai riusciti a organizzare qualcosa di più serio di una biciclettata di una mezza giornata nel circondario di Milano (ma anche, in un caso, mentre eravamo in ferie assieme in Abruzzo) oppure di una nottata (nel caso delle due Ciclonotturne del Canale Vacchelli e della Valtellina); entrambi avevamo un credito di ferie da smaltire, e allora via!!! (non senza il previo assenso delle consorti...).

La scorsa settimana l'attenzione è stata alta a causa della marcatissima instabilità del meteo che ha caraterizzato questo lentissimo ritorno alla "normalità", dopo una quarantena di clima spettacolare; ma pare proprio che Giove Pluvio voglia essere magnanimo con noi, la prossima settimana.

Le ultime 24 ore, nel pieno della preparazione, sono state fitte di scambi, contatti, consigli e suggerimenti ("Il bucato lo facciamo assieme? Il detersivo lo porti tu?", oppure: "La colazione al bar oppure in campeggio?", "La pompa e le toppe?).

Ho cercato di sfruttare tutta la mia esperienza passata soprattutto per sfoltire l'elenco delle cose da portare; alla fine credi di avere esagerato con le cibarie, e Luca (che sta sempre più assumendo il ruolo di mio Grillo Parlante) mi ha tempestivamente rammentato che nostri piani includono anche il fare soste nei supermercati giorno per giorno, proprio allo scopo di non appesantirci troppo.

La partenza è prevista Lunedì 22 alle ore 08.00.

Vi aggiorneremo puntualmente.

Buon viaggio.


I Luchi





martedì 31 marzo 2020

IL MONOCANE

Ormai è un appuntamento fisso nei miei allenamenti in Oltrepò pavese.

Per quanto sia piccolo e fugace il momento, è qualcosa che ho imparato a sentire come significativo, una presenza (anche se forze non troppo "amica"), ma costante, un connotato del paesaggio a cui ti affezioni perchè ti fornisce una coordinata cui riferirti.

Mi ci sono imbattuto sin dalla prima volta che ho scalato la salita di Bosco Casella, una bella erta di asfalto in condizioni tutto sommato accettabili, impegnativa il giusto e dalla visuale aerea e aperta mano a mano che si sale dal fondo della Valle Scuropasso.

Tra uno sbuffo e un tornantello passa in mezzo a vigneti e casolari, ma anche qualche villa. E costeggiando fuori sella una di queste, un latrato mi ha fatto sobbalzare, da oltre l'alta siepe di cedro lauro che la nascondeva alla vista. Un latrato, uno solo - WHOOF!!! - poi più nulla, mentre procedevo per la mia strada e sparivo oltre una curva. Il timbro era possente, di grosso mastino, ma con una nota prevalente di dignitosa stanchezza, di onorevole anzianità, nulla di malevolo come certi cani da villa sanno essere.

Da quel momento, ogni volta su quella salita la scena era la stessa: il latrato, uno solo - WHOOF!!! - mi accoglieva mentre ansimavo, poi più nulla, come se il dovere fosse compiuto, la pappa guadagnata per il giorno, il più è fatto, torniamo a riposare le stanche membra.

Incuriosito, un giorno transitando sono anche riuscito a intravedere il bestione in un varco nella siepe: un gigantesco mastino, credo napoletano, nero come la notte e dall'andatura penzolante.

Il nostro piccolo rito si è sempre ripetuto con regolarità, ogniqualvolta mi sono cimentato con quella salita (una delle mie preferite, quindi abbastanza spesso). E ho addirittura nutrito una qualche preoccupazione - data la veneranda età dell'esemplare - quando, per un certo periodo, non ho udito il tipico mono-abbaio: ho addirittura pensato di suonare al portoncino della villa per chiedere notizie sulla salute del custode zannuto e quadrupede. strana cosa, questa, perchè in generale i ciclisti-che-pedalano non sono troppo amati dalla popolazione canina, sentimento ricambiatissimo in proporzione decuplicata da parte di chi scrive.

Ma - oh, la gioia! - dopo qualche settimana di assenza il monocane si è palesato nuovamente col suo caratteristico verso, stentoreo e autorevole ma singolo, a segnare l'approssimarsi della metà salita.

E allora via, a spingere sui pedali, grazie a cotanto incitamento.


I

lunedì 23 marzo 2020

A NIGHT WITH GHISALLO

Per un istante non volevi credere ai tuoi occhi, poi però ti sei reso conto che era tutto vero, davanti a te, una di quelle occasioni uniche - non rare, nè rarissime, UNICHE - del trovarsi al momento giusto nel luogo giusto.
Assisti nel silenzio della notte, sul ciglio della strada dove hai accostato mentre salivi, il tuo respiro si placa e si fonde nel respiro della notte.
Mentre da lontano percepisci gli altri del gruppo che sopraggiungono, davanti a te continua lo spettacolo di cui non ti scorderai mai più finchè vivi...

Sei partito un'ora prima dal parcheggio di Magreglio, sul ramo lecchese del Lario, assieme ad altri tuoi simili, in una di quelle iniziative che si posizionano tra il prometeico e il demente, ma che ti esaltano così tanto. Sei calibrato su questo tipo di sublimi scemenze, dal Cimento Invernale in gruppo lungo la Valtellina a fine Gennaio, una nottata a -9°C, alla traversata in solitaria delle Alpi Norvegesi in completa autonomia. Il diploma da demente è pertanto pienamente meritato.
L'appuntamento carbonaro era con Davide e il suo amico Matteo, in una sera di fine giugno, aria tiepida e cielo terso. Una volta lì hai trovato altra gente, Stefano ad esempio, tutti intenzionati a scalare il Superghisallo in notturna.
Rapidamente consumati i preparativi, tra cui un bel paio di luci notturne, il gruppetto si è avviato.
A 500 metri dalla partenza ti è stato subito chiaro, direi lampante, quale musica avrebbe accompagnato la serata: ti ritrovi in mezzo ad una muta di lupi famelici che hanno iniziato subito ad azzannare l'asfalto ai 40 all'ora, in direzione di Bellagio.

Il pacchetto si è compattato come un convoglio ferroviario, e lungo la strada ormai semideserta si sono avvicendati fotogrammi sfocati di borghi sonnacchiosi, di scorci del lago all'imbrunire, la corona di cime a oriente colorate dal tramonto in tinte pastello, su un fondale indaco.
Non una parola da parte degli umani in corsa, sostituita da un dialogo basato sul ticchettìo del cambio, sul ronzìo della catena, sul fruscìo delle coperture sull'asfalto, di un timbro e una tonalità tipici una volta superati i 35 all'ora.

Lo scurire della sera ha acceso le lucine posteriori del branco pedalante che sfrecciava in silenzio religioso verso il rotondone che ha alfine dato inizio alle danze, quelle vere, quelle da cui non ne esci se non quando hai terminato, quelle per le quali non esistono scorciatoie nè nascondigli.

La strada ha iniziato a impennarsi, il gruppetto a sgranarsi, e ti sorprendi sentendo la tua risposta. Sei riuscito a salire senza soffrire molto, non sapendo il perchè (l'adrenalina?) ma hai smesso subito di domandartelo preferendo goderti il momento (qualche anno più tardi constaterai, percorrendo quella stessa ascesa più volte in differenti condizioni - e in un caso anche in gara - che il tuo rendimento precipita nettamente con l'aumentare della temperatura).

L'obiettivo è divertirsi, quindi vi siete aspettati, avete rallentato il giusto quando serviva, avete mantenuto il gruppo. I fasci di luce fendevano il buio sui tornanti di una delle salite più famose del mondo, in un silenzio primordiale. Al bivio di Palaino, in corrispondenza della casona gialla, Stefano e un altro erano già lì ad aspettare da un pò, andati in fuga tempo prima. Una volta ricompattata la comitiva, siete ripartiti verso Piano Rancio, e come sono iniziati i tornanti, hai preso un bel vantaggio.

Superato un tornante, mentre ascendevi con Bellagio in basso alla tua destra, la coda dell'occhio ha avvertito un fioco bagliore, una luminescenza, qualcosa di indistinto, quasi fosse uno scherzo della fatica.

E invece no.

E' sotto i tuoi occhi.

E' tutto vero.

Il pratone che degrada verso il lago è vivo, si muove, fluttua dolcemente di un vastissimo tappeto di punti luminosi che lo popolano.

Un miliardo di lucciole si sono date appuntamento in quel luogo, quella sera, per reiterare il loro rito milllenario, ignare di te e dell'onore colossale che ti viene fatto: l'invito alla loro danza.

Spegni il faretto sulla bici, e ti scopri a sorridere, da solo e al buio, in compagnia delle tue nuove luminose amiche, in un silenzio siderale. Più oltre, seguendo il declivio con lo sguardo si intuisce la sottostante Bellagio, incorniciata dalla prospettiva delle coste illuminate che si specchiano nelle acque oleose del lago.

Il momento senza tempo dura un solo minuto, trascorso il quale gli altri ti hanno raggiunto senza fermarsi, non sono granchè interessati allo spettacolo naturale... colmate quindi il dislivello restante per scollinare al Piano Rancio, e con la cautela dettata del fondo stradale che sapete essere in pessime condizioni scendete fino alla Madonna del Ghisallo.
Anche qui il gruppetto non si ferma, ma infila senza indugio alcuno la brusca svolta a destra che nel volgere di duecento metri attraversa l'abitato e perfora nuovamente il buio.

Ha inizio una delle esperienze più folli mai vissute in vita tua: distanziandovi opportunamente, infatti, uno alla volta vi buttate in picchiata verso Asso, una discesa lungo la quale non è infrequente toccare i 70 all'ora. Solo che lo state facendo NELL'OSCURITA' ASSOLUTA. La tua intera esistenza si contrae quindi nel momento presente, con i sensi a mille, il tuo campo visivo focalizzato al cono di luce davanti a te che deve traguardare la lucina rossa di chi ti precede, mentre tieni saldo il manubrio e imposti le traiettorie ad intuito. Percepisci nettamente il fresco del Ghisallo mutare nel tiepido degli strati più bassi, il baccano dell'aria ti assorda, ma tu sei un contenitore di endorfine vivente.

Il ritorno a Magreglio avviene per l'usuale svolta a sinistra verso Onno, ripercorrete i tunnel di cemento squadrato, l'arrivo al parcheggio avviene senza complimenti, come fosse roba di tutti i giorni, come se fosse normale.

Tu, invece, farai fatica ad addormentarti una volta tornato a casa, e ancora adesso indulgi nel ricordo di quella serata in cui testa, cuore e gambe si sono fuse col paesaggio.


sabato 28 settembre 2019

LA BUCCIA



Esistono tante ragioni per cui vado in bici, e mi ostino ad usarla per raggiungere il mio luogo di lavoro ogni giorno. Ragioni di ordine pratico, economico-finanziario, etico-morale, che ho già illustrato abbondantemente su questo blog negli anni e non intendo ripetere.
Ce n'è una, invece, che considero prioritaria e il cui perseguimento mi sento chiamato personalmente a inseguire. Una ragione che negli ultimi tempi ha conosciuto una nuova popolarità grazie a un'adolescente scandinava che si è offerta come simbolo di una protesta e di un richiamo verso i vertici decisionali a scelte rapide ed efficaci.
Il tema è quello dell'emergenza climatica del pianeta Terra e della sostenibilità ambientale dello sviluppo umano, ed il richiamo è ad un cambiamento del modo in cui il genere umano trae sostentamento attingendo dalle/trasformando le risorse naturali.

------------------------------------------------------------------------------------------------
[Piccola nota a margine: ho detto di ritenere la ben nota adolescente scandinava un simbolo, e solo tale. Pertanto considero patetici e bambineschi gli hooligans che pretendono di sminuire un tema gigantesco come questo semplicemente mirando al suo simbolo di turno, un pò come se si volesse abbattere l'azienda della Coca-Cola distruggendone una lattina di bevanda. A me frega poco dell'arcigna sedicenne biondotrecciuta: il tema e la sua gravità mi era già noto già da prima che nascesse lei, purtroppo. Non ho avuto bisogno dei suoi appelli per trarre le mie conclusioni sull'attuale modello di sviluppo, basato sul capitalismo neoliberista, e per modificare il mio modus vivendi].
------------------------------------------------------------------------------------------------

In particolare, desidero condividere una minuscola riflessione di molto tempo fa che, come una goccia, è distillata con il passare del tempo nel più ampio mare del mio ragionamento: l'inquinamento atmosferico.
Ciò che mi impressionò maggiormente fu un dato tratto dalle mie conoscenze professionali nel campo dell'aviazione, che tuttora fornisce le proporzioni di quanto sia piccolo lo sputo grossomodo sferico sul quale vaghiamo nel cosmo: l'altezza dello strato respirabile dell'atmosfera terrestre. 


Ora, questa contiene ossigeno ad una pressione parziale respirabile per l'uomo SOLO PER I PRIMI SETTE CHILOMETRI a partire dalla superficie terrestre.

SETTE CHILOMETRI,

SETTE.

Non cento, mille, centomila: SETTE.


E neppure per TUTTI gli uomini, ma, alle più elevate altitudini, solo per i più allenati.

Quanto sono, che distanza è sette chilometri?

Fateci caso, la prossima volta che usate un veicolo, in quanto tempo consumate una distanza di SETTE CHILOMETRI.

Io li ho misurati spannometricamente come la distanza in cui riesco a riscaldarmi in bici. Oltre quella c'è lo spazio cosmico, dal punto di vista della respirazione, perlomeno.

Quei sette chilometri sono una buccia, una pellicola, una pellicina, un diaframma, un nulla se paragonati alle dimensioni della Terra, che sotto questa luce divenne ai miei occhi ancora più piccola.

Ed il solo pensiero di fumi, vapori, scarichi, scie, sporcizie e scappamenti vari gettati all'aria, un'aria che non conosce confini, la inquini qui ma viene respirata anche in Papuasia, uno scempio che SI SOSTITUISCE PROGRESSIVAMENTE ALL'OSSIGENO ecco, quel pensiero mi ha convinto di quanto poco ci voglia a saturare quel piccolo volume, in connessione al contemporaneo disboscamento massivo, e cosa potessi cambiare di me stesso per non contribuire al sistema.

La bici è solamente uno dei tasselli della mia personalissima soluzione, consapevole del fatto che non si possa applicare esattamente a TUTTI QUANTI (ma qua si potrebbe ragionare a lungo - non lo farò - sulla malcelata sensazione di superiorità morale che sarebbe FIN TROPPO SCONTATO alimentare, ma il discorso è complessissimo e delicato, merita una discussione).

Però io almeno ci provo, finchè reggo.

 

giovedì 15 agosto 2019

LE GUANCE DI PRIMOZ ROGLIC (OVVERO LA SAGGEZZA DEL CRICETO)



 
Nella mia esperienza di ciclista, ho sempre avuto una certa difficoltà ad alimentarmi "in corsa", ovvero senza smettere di pedalare e/o sotto sforzo, in tutte quelle circostanze che lo richiedevano (in viaggio, oppure tornando da lavoro, in allenamento, in gara). Per dirla meglio, ho sempre trovato qualche difficoltà a farlo senza soffocare, masticando E ANCHE respirando.
E questo ha sempre costituito un handicap notevole, perchè è importantissimo assicurarsi un'alimentazione costante soprattutto sulle lunghe distanze, mangiando quel che ti porti dietro (tipicamente barrette o poco altro).
Il proverbio, diffusamente ribadito dal Cittì Cassani, è quello di "bere prima di avere sete, mangiare prima di avere fame": se provi una qualsiasi di queste sensazioni, è già troppo tardi e la cotta è in arrivo.
Ora, la fuliminazione mi è giunta osservando, oziosamente stravaccato sul divano di casa, un occhio chiuso e uno aperto, l'ultimo Giro d'Italia.
Probabilmente esiste da qualche parte anche una registrazione di un gesto, rapido e fugacemente inquadrato dalle telecamere sulle moto, fatto da Primoz Roglic della Jumbo-Visma, poi arrivato terzo.
Il nostro, con perizia consumata, arrivato il momento dedicato all'alimentaizone afferrava una barretta, la spezzava in due dopo averla scartata, e si infilava le due metà una per ciascuna guancia.
L'effetto finale, ripeto: ripreso per una manciata di secondi, era quella di un criceto che fa le scorte. Ma prima di staccare l'inquadratura si vedeva benissimo che, una volta terminata la manovra, con tutta calma iniziava la fase di masticazione lenta, e altrettanto lenta deglutizione, a tutto favore della respirazione.
Beh, che ci si creda o no ho provato anch'io e funziona, sia in allenamento che in gara, e una volta ovviato a questo problemino il mio divertimento è ulteriormente aumentato.
Ma non credo di essere ancora pronto per arrivare terzo in classifica generale al Giro.

domenica 11 agosto 2019

LA CICLABILITA' INIZIA LONTANO DALLE STRADE



Come sappiamo la ciclabilità di un Paese è dapprima una questione culturale, intesa come approccio mentale e politico al tema (che orienta le scelte), ma anche filosofica, di pianificazione, poi calata nei suoi risvolti pratici, quotidiani.
Volendo concentrarci solo sulla mobilità casa-lavoro, e volendone scremare le difficoltà ambientali e di viabilità (conducenti assassini, traffico impazzito, inquinamento atmosferico), i problemi di un ciclista pendolare partono da molto lontano, e implicano aspetti stranissimi, che partendo da una prospettiva obliqua si inseriscono a pieno titolo nel novero delle questioni centrali.
Me ne sono accorto col tempo, mano a mano che mi capitava di condividere le mie esperienze, via via che mi trovavo a rispondere alle domande, a soddisfare le curiosità di chi non mi considerava solamente un eccentrico mattacchione, ma nei miei racconti intuiva un solido stile di vita.
Il mio stupore è sorto improvvisamente nel momento in cui venivo definito, al termine delle conversazioni, "un privilegiato", ed il mio "privilegio": la mia fortuna sfacciata, la mia incommensurabile botta di culo era costituita nientepopòdimenoché dall'avere a disposizione UNA DOCCIA in ufficio, in piena efficienza e utilizzata tutti i giorni.
Addirittura con l'acqua calda.

Una doccia è un privilegio?
In un Paese sedicente occidentale?
Nel 2019?

Una doccia, una stupidissima doccia, viene considerata "un privilegio", l'assenza della quale scoraggia i più dall'avvicinarsi alla bicicletta per recarsi a lavoro.
Scopro quindi che nel mondo reale (non, quindi, nel Paese delle Meraviglie costituito dalla mia occupazione) le persone "normali" NON HANNO LA POSSIBILITA' DI LAVARSI. Neppure una sciacquatina, nulla.
(Mi domando se lavorare in certi ambienti non costituisca un'esperienza olfattiva assai intensa, a prescindere dalla bici...).
Nel momento in cui ho iniziato ad aggiungere che, per sovrammercato, avevo (come tuttora ho) la possibilità di ricoverare la bici al chiuso, addirittura di portarmela in ufficio (e non sono neppure il solo, ho anche un altro collega che lo fa), le conversazioni si sono sempre interrotte, finendo nel nulla del mio sbigottimento e dello scetticismo del mio interlocutore, ormai convinto di star parlando con un alieno, le cui esperienze non sono riproducibili nel mondo "normale".

Ora, si fa un gran parlare delle promozione della mobilità ciclistica, eccezionale tema che è possibile declinare in mille modi, dal turismo lento agli spostamenti in città.
Ma in tema di casa-lavoro in bici, e alle sue benefiche conseguenze decongestionanti per il traffico, a mio insignificante avviso bisognerebbe iniziare molto prima e molto più da lontano dello stanziamento di somme multimilionarie - comunque necessario - per la costruzione delle piste ciclabili.

Secondo me bisognerebbe prevedere un OBBLIGO (e qua sta il VERO PROBLEMA) di inserire negli edifici di nuova costruzione destinati a luogo di lavoro, qualsiasi settore si tratti (non solo industria, quindi, ma anche agricoltura e commercio/terziario), una o più docce con spogliatoio in proporzione all'occupazione media prevista.

Così semplice, tutto qua?

No, non basta.
Bisognerebbe obbligare anche a costituire un ricovero protetto per le bici, alla stessa stregua di quando si asfaltano i parcheggi attorno agli edifici. E nessuno mi venga a paragonare la metratura necessaria per le bici con quella delle automobili, tantopiù che le bici si possono riporre IN VERTICALE.

Per una questione di ragionevolezza non mi spingo a sognare un provvedimento che obblighi i datori di lavoro a mettere mano alle proprie infrastrutture in tempi più rapidi, un pò come accadde ai tempi dell'adeguamento degli esercizi pubblici con il divieto di fumare.

Sono questi piccoli accorgimenti e piccole infrastrutture dedicate, che - mi piace vincere facile - in molti Paesi esteri sono la norma, a contribuire in modo decisivo a superare lo scoraggiamento e lo scetticismo di chi vede il pendolarismo a pedali come uno stile di vita lontano, fuori portata.
Sono "fuori portata" se li si vede da qui, dal nostro piccolo scrigno italiano; le differenze stridenti iniziano a sorgere allorquando "gli stranieri" ci portano in casa i loro esempi, i loro modelli, il loro stile di vita. Tipo Amazon, che nella sua nuova e avveristica sede di Milano-Monte Grappa ha previsto, al piano terra, uno spazio chiuso dove parcheggiare le biciclette, dotato di armadietti per riporre l'attrezzatura e cambiarsi. In Italia, oggi, nel cosiddetto "Paese reale".
Perchè il sale della democrazia è il diritto di scelta di ciascuno, nel rispetto dei doveri propri e diritti altrui, nel rispetto della comunità e delle sue regole, e nel rispetto dell'ambiente naturale.
Perchè le infrastrutture ciclabili sono senza dubbio un tassello essenziale del quadro generale, ma una volta arrivato a lavoro dovrai pur lavarti e cambiarti!!!!