sabato 15 settembre 2018

UN FALLIMENTO DI GRANDE SUCCESSO

"Non è la sconfitta il peggior fallimento.
Il peggior fallimento è non aver tentato".
(G.E. Woodberry)



Oggi ti senti in forma.
Come spesso succede al sabato mattina, hai acquisito il placet della mugliera e ti sei organizzato per un'uscita in bici. Altrettanto spesso, succede che la méta siano i colli dell'Oltrepò, uno degli itinerari che hai disegnato tra Valle Versa, Valle Scuropasso, Carmine e dintorni, per un centinaio di chilometri e un dislivello tra i mille e i duemila metri.
Anche il meteo ti è propizio, con una promessa di temperature tiepide, poco vento e niente pioggia.
Dopo una colazione medio-pesante ti avvii con calma, tanto non ti corre dietro nessuno e non ti sei organizzato con nessuno, e ti predisponi all'oretta di guida per raggiungere l'usuale posteggio a Stradella ove lasciare l'auto.
Nel frattempo il meteo sui colli si è fatto soleggiato, con il rovescio della medaglia dell'aumento del traffico per le strade.
L'unico neo di queste trionfali premesse risulta l'avere dimenticato i guanti a casa. Non ti capita mai, sai bene quanto siano importanti per proteggere le mani in caso di caduta. Te ne fai una ragione, pazienza.
Il primo colpo di pedale in direzione della Valle Versa gira verso le 11, il traffico è ulteriormente aumentato, ma sei tranquillo, perchè sai che a Beria cambierà tutto.
Decidi di prenderla con calma, stai bene ma non vuoi rovinare tutto con una volata al cassonetto anzitempo.
Dopo il drittone in fondovalle arriva la tanto sperata svolta a destra, verso Canneto Pavese, e cominci a sentire che oggi gira proprio nel modo giusto. Affronti a salita col giusto ritmo, senza dover neppure aggiustare i rapporti, forse solo un pò verso la fine, ma comunque dopo il cimitero, dove sai che terminerà il primo segmento Strava. Un piccolo accenno di incertezza nelle cambiate ti fa essere più prudente nel salire o scendere coi denti, ma nulla di più, tutto gestibile.
Arrivato su in costa ti godi il panorama, ad ovest la torre del castello di Cigognola ti osserva ieratica, ad est i geroglifici tracciati dai vigneti sui pendii, appesantiti dai grappoli ormai maturi.
Ti stai misurando dopo un paio di mesi abbondanti di assenza da queste strade, un lasso di tempo durante il quale comunque hai saputo fare buon uso della bici, portandotela in vacanza al mare, e concedendoti anche un viaggio-avventura di due settimane a pieno carico. Insomma, non sei stato esattamente in panciolle, e ora ritrovi quei luoghi virati in tinta pre-autunnale, con le strade sporche di terriccio per le forti piogge dei giorni scorsi, e per i trattori che cominciano a brulicare in occasione dell'imminente vendemmia. Qua e là sbirci nei cortili dei casolari, osservi le attrezzature per la raccolta e il trattamento dell'uva che vengono lavate ed asciugate al sole. Talvolta avverti i primi effluvi di mosto.
Ti ripeti che stai bene, te ne compiaci, ti guardi attorno e ti senti un privilegiato. Percepisci l'intimo sorriso delle tue fibre muscolari, non sai perchè ma l'acido lattico oggi ha deciso di non farsi ancora vedere, atrii, ventricoli, alveoli e mitocondri si beano con te di questo stato di grazia inaspettato. Con questa condizione di benessere, affronti e superi in modo soddisfacente la seconda scalinata del giorno, Monteveneroso, corta ma dispettosa, oltrepassata la quale si scende di quota per aggirare da est il Monte Azzolo, e risalire direttamente puntando verso Castana. Scollini in località Palazzina, e dopo duecento metri di costa infili una deviazione in discesa a destra, una discesa che ti ha sempre dato un gran gusto, e con cui plani a rotta di collo verso la Valle Scuropasso. Stavolta, a causa del fondo molto sporco e in alcuni tratti ingombro di terriccio, sassi, brecciolino, rami e foglie, te la godi ugualmente ma un pò più lentamente.
Il falsopiano in fondovalle ti occorre per riguadagnare regolarità nella cadenza, preludio a uno dei piatti forti della giornata: la salita di Bosco Casella che porta a Sannazzaro. Poco più di due chilometri e mezzo per un dislivello di poco inferiore ai duecento metri, larga tre, con una pendenza media al sei percento ma con passaggi al diciassette. Nata probabilmente per essere una strada interpoderale di collegamento con le vigne, soffre un'asfaltatura che stimi a spanne risalente agli anni sessanta, e ormai sconnessa, granulosa, fessurata e abrasiva, per aggiungere ulteriore sfida alla difficoltà della pendenza. Anche questa l'affronti bene, prepari bene il rapporto anche se il pignone è sempre più lento ad entrare, senti che stai salendo a un ritmo più fluido, meno appesantito, più veloce.
A poco meno di metà salita, in corrispondenza di un gruppo di case, curi bene la traiettoria per la simultanea e insolita presenza di un'auto che scende, e di tre persone sul tuo lato della strada. Mentre ti avvicini decidi di alleggerire il carico per sormontare un muretto di venti metri, e tiri su un dente. Sei in fuorisella, sbilanciato in avanti per la pendenza, il veicolo ti sfila a sinistra e hai le tre persone avanti a destra. Spingi sulle pedivelle perchè stai andando da dio, e ti piace proprio. Uno scatto improvviso del pedale sinistro, una frazione di giro in pieno arco spingente, ti fa mancare il supporto da quel lato, la spinta che si azzera, oscilli, il pedale che si sgancia e il piede sinistro che parte verso l'esterno, l'equilibrio definitivamente compromesso, la velocità che si annulla, la bici che si inclina, il contatto con l'asfalto sassoso e sconnesso, tutto in mezzo secondo. Ti sei praticamente appoggiato a terra a bassa velocità, toccando col bacino, lo stinco e il palmo della mano sinistri.
Sei cascato praticamente a portata di braccio delle tre persone, tre signore non più in verde età, che in preda allo spavento accorrono con incuriosito clamore di "Ussignùr" e "Si è fatto male?". Una in particolare appare più agitata delle altre, ti tocca tranquillizzare LEI.
Ti rimetti in piedi, il tempo ricomincia a scorrere normalmente, un veloce controllo alla bici (tu potresti pure esserti polifratturato e chissenefrega, ma percaritàdiddìo NON LA BICI!) che non sembra avere riportato troppi danni, tu neppure, fai girare i pedali e col cambio sembra tutto bene. Intanto vieni attorniato dalle tricoteuses che, disdetta, magari speravano almeno in una bella ferita lacero-contusa, e invece nulla, 'sti ciclisti sono fatti di titanio, mannaggia a loro. Si è fermato anche il conducente dell'auto, ti ha visto franare a terra subito dopo il suo passaggio, teme di essere la causa della caduta. Ancora prima di capire l'accaduto comincia a chiederti scusa. Mentre inforchi la bici rassicuri la piccola folla spiegando loro di avere fatto tutto da solo. Riparti in salita e di gran carriera, per ragioni inspiegabili hai in testa solamente di recuperare il ritmo per registrare un bel segmento di Strava. Dopo qualche minuto, all'unisono, sorgono le fitte, inizialmente appena accennate, dopodichè più nette e definite. Approfitti di un tratto in piano per fare la mappa dei danni: hai la mano bucata in due punti che sta sporcando di sangue la manopola, una botta al palmo della mano che rende difficoltoso afferrare il manubrio, graffiature sullo stinco e un livido dal curiosissimo sviluppo lineare - stretto lungo e violaceo - che risale dal ginocchio fin dentro gli shorts. Completi la salita fino a Sannazzaro e, come da tradizione, accosti la bici alla cappelletta in cima per una sosta. Solitamente sarebbe il momento di uno snack, una banana o qualcosa per spezzare in preparazione del Carmine, ma stavolta non ti entrerebbe neppure una lenticchia. Ragioni sulla situazione, e a parte le (tutto sommato) piccole ferite e la botta alla mano, l'aspetto peggiore è l'effettiva inaffidabilità del cambio posteriore. E' un fattore che rende insicura la prosecuzione del giro, sapendo che nel menù ci sarebbero cose tipo Piccolo Stelvio e Muro di Donelasco, ma più in generale non ti fidi proprio, e in cinque minuti, molto ma DAVVERO moooolto a malincuore, decidi di porre termine all'uscita. Nel pomeriggio porterai la bici dal meccanico.
Istruisci il Garmin a riportarti al punto di partenza nella più breve distanza possibile, e in dieci chilometri sei nuovamente all'auto. Rivedi la scena e rifletti sul fatto che, se il cambio ti avesse fatto lo scherzetto solo due secondi prima

(d  u  e

s  e  c  o  n  d  i

p  r  i  m  a)

lo sbandamento a sinistra ti avrebbe portato dritto sotto le ruote del veicolo che scendeva.
Spegnendo il Garmin scopri di avere frantumato i tuoi record personali praticamente su tutti i segmenti percorsi, e cominci davvero a masticare amaro, perchè stavi davvero volando su quei pedali, come non avevi fatto mai.
Chissà quando tornerà una condizione di forma come quella di oggi.




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