Immaginate di uscire una mattina, di buon'ora, per andare a lavoro in bici come al solito.
Sta piovigginando, la strada è umidiccia ma non esattamente bagnata. La cosa non vi infastidisce più di tanto, avvezzi come siete ai capricci del tempo che avete lungamente sopportato durante tutto un lunghissimo inverno.
Come vostra abitudine non montate parafanghi sulla vostra amatissima bicicletta, che preferite nuda e filante come un tedoforo ateniese.
Pensate ora di imbattervi a un certo punto, in aperta campagna, in un fondo stradale cosparso di un limo dal bizzarro aspetto, di piombarci sopra in pieno e - complici le ruote che tirano su di tutto centrifugandolo verso di voi - di sporcarvici abbondantemente.
Immaginate adesso di trovare, settecento metri di fanghiglia più avanti, l'origine di cotanta mota: un trattore appena uscito da un campo, ove ha testé terminato di spandere concime liquido.
Vi avvedete solo in quel momento che la bruttura di cui siete intrisi dai capelli fino alle scarpe, che vi cola nelle caviglie, che vi oscura gli occhiali, che vi appiccica le ginocchia, ecco, quella NON E' FANGO.
Quando è successo a me volevo dare fuoco prima alla bici, poi ai vestiti, e infine al trattore compreso quel pirla che lo guidava, in una formidabile pira purificatrice.
Nel mio ufficio per tutta la giornata sembrava di stare in una stalla d'alpeggio.
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