Siamo in quattro, ma non ci conosciamo tra noi.
Siamo in quattro, i due avanti e io con un altro aggiuntosi dopo.
Infiliamo nel più assoluto silenzio le curve e controcurve strette, il sibilo dei freni unica nota udibile, concentrati per gestire le traiettorie delle nostre bici sparate in discesa a quasi settanta all'ora.
Nessuno parla, le giacchette antivento dai colori improbabili frusciano schiaffeggiate dall'aria che si fa via via più calda al diminuire della quota, a volte ci disponiamo in fila, a volte a coppie affiancate, a diamante, a quadrato. Un trenino, un nucleo primordiale a geometria variabile, una molecola a legame debole che si sfilaccia e si ricompatta, ma senza disgregarsi.
Ci siamo aggregati per caso, filando giù dai tornanti boscosi che dal Passo Sella riportano a Canazei, da dove sono partito stamattina per partecipare al Sellaronda Bike Day.
Dovevo esserci a tutti i costi, erano mesi che sognavo di essere qui, ventimila e più ciclisti che percorrono l'anello che abbraccia il gruppo del Sellaronda tra Trentino, Veneto e Sudtirolo. E allora mi sono organizzato per passare meno di ventiquattro ore quassù, nottata in campeggio bagnata fradicia, fredda e in gran parte insonne (devo cambiare tenda, la mia sta ormai soffrendo l'usura dei viaggi passati).
Ma la domenica mattina, al risveglio alle sei, ci pensa il massiccio della Marmolada a darmi il buongiorno, stagliandosi ammantato di neve esattamente di fronte alla mia tenda, come apro il tendalino.
Il tepore faticosamente accumulato durante la notte esala in un istante, e non mi resta che muovermi e darmi da fare per mantenermi caldo.
Colazione da lottatore di sumo, un due tre fette di pane generosamente spalmate di Nutella fanno compagnia allo yogurt e al tazzone di mezzo litro di caffélatte col miele bello caldo.
Non mi rado, sto coltivando una sottospecie di rito scaramantico che se mi lascio la barba alla domenica mattina pedalo meglio (ma sarò scemo?).
Tiro fuori la bici dal bagagliaio, rimonto la ruota anteriore e dò un'ultima occhiata ai freni (serviranno parecchio, oggi!).
Nonostante il calendario cerchi di convincermi che siamo a fine Giugno, non mi lascio ingannare e mi vesto in modo ibrido-modulare sul pesantino andante con brio. Il che non spiegherebbe nulla se non precisassi di essermi vestito "a cipolla", con una maglia da ciclismo a maniche corte e pantaloncini da ciclismo corti, ma arricchiti da una felpa in pile , dalla giacca antivento, zuccotto e collare in pile. Ma la vera new entry sono i coprigambe e le mezze maniche, che all'occorrenza si possono sfilare via (i primi), oppure ripiegare sui polsi (le seconde).
Mentre sono alle ultime battute di preparazione mi accorgo che quasi tutto il campeggio si sta attivando con lo stesso proposito: cominciano infatti a sfilare tanti ospiti a due ruote, equipaggiati alla bisogna.
Esco quindi e mi tuffo nel fiume di appassionati pedalatori, non c'è bisogno neppure di intuire quale sia la direzione da prendere, è sufficiente seguire gli altri.
Dopo neppure duecento metri, si comincia a salire. L'andatura rallenta e fa si che la densità di ciclisti aumenti notevolmente, e mi ritrovo a pedalare a trenta centimetri da perfetti sconosciuti, a respirarne il sudore, a percepirne il respiro. L'attenzione adesso è concentrata a evitare di incrociare il manubrio con qualcun altro, a non urtare le ruote di chi precede, a dare spazio a chi sopraggiunge da tergo con andatura più sostenuta, annunciandosi con richiami che giungono secchi nel silenzio della mattina "Oh!", "Occhio!", "Attenzione in mezzo!". Dopo pochi tornanti siamo già immersi nelle pendici silvestri, fitte di alberi, che issano verso il bivio tra il Passo Sella e il primo degli impegni, la prima meta, la prima sfida, il primo timore reverenziale: il Passo Pordoi a 2241 metri.
In questo primo tratto, tutti freschi ed entusiasti, le chiacchiere si sprecano, e allora è tutto un vociare tra i gruppi di amatori, riconoscibili dalla stessa maglietta, e chi ha fiato lo usa anche per parlare, forse per esorcizzare la salita a uno dei passi-monumento. Assisto al variopinto spettacolo di multicolori schiene chine sui manubri, sfottò e chiacchiere in una quantità notevole di inflessioni diverse, tutto il Paese è rappresentato qui, lungo queste strade. Assisto agli amorevoli consigli dell'uomo verso la sua donna su come affrontare al meglio le traiettorie in salita sui tornanti (c'è una precisissima tecnica per farlo, nulla è lasciato al caso in queste condizioni). Mi accorgo - da quelli che cominciano quasi subito a fermarsi in corrispondenza dei tornanti per riprendere fiato - che lungo questi percorsi, sulle Dolomiti, a queste quote, ogni pedalata data male la paghi a carissimo prezzo, e con gli interessi. Mi concentro quindi ancora di più per impostare una salita regolare, senza strappi né fuorisella inutili.
Non mi interessa dare spettacolo, voglio solo divertirmi.
Pedalare in un gruppo stretto comporta soprattutto il percepire le persone in modo estremamente ravvicinato, magari se non in senso spirituale di sicuro in quello spaziale, e quindi fisiologico. I ciclisti infatti sono noti per essere gente piuttosto rude, adusi a mantenere la propria efficienza fisica anche stando sulla strada mentre pedalano, e senza smettere di pedalare: nessuna sorpresa quindi se c'è chi scaracchia, sputa e si libera il naso en plein air, con grave nocumento per la serenità di chi segue in scia. Uno splendido campionario umano. A me tocca un tizio che a stargli dietro prendo più vento che a stargli davanti (*): infilo infatti una sequenza di scorregge appena attutite dall'imbottitura del pantaloncino, preannunciate dal sollevamento del deretano dal sellino. Alla terza schioppettata decido di averne abbastanza, e mi accodo altrove. Credevo di essere ruvido, un pò come tutti i ciclisti: beh, ho scoperto di essere in ottima compagnia.
L'ascesa è scandita dai cartelli che numerano i tornanti, completi di indicazione della quota altimetrica: oltre i 1.800 metri la foresta si dirada e la visuale si apre sulla maestosità delle cime circostanti. Davanti a noi le Torri del Sella si ergono verticali nell'azzurro più azzurro da un bel pezzo in qua, più a destra il Sass Pordoi, a sinistra in lontananza il Sassolungo è già incappucciato di nubi, intrappolate nel suo anfiteatro rivolto a nordovest.
Celebro intimamente il superamento dei 2.000 mt. di quota, sto arrivando più in alto di quanto sia mai giunto in bici da una quindicina d'anni in qua (il mio record è 2.750 metri nella Conca di By, in Val d'Aosta nell'Ottobre 1997, ma non ero allenato, ero completamente in solitaria, sono arrivato lassù del tutto ubriaco di fatica e ipossìa e ho rischiato di pagare carissimo la mia sventatezza, rischiando molto, davvero troppo).
L'arrivo al Pordoi, due ore per ottocento metri di dislivello in dodici chilometri, è preceduto da un vociare in lontananza. Un tappeto di centinaia di ciclisti occupano l'assolato piazzale della funivia, il cartello marrone indicatore di località è preso d'assalto per la foto ricordo.
Io mi volto indietro, ancora incredulo di essere lì: sotto di me un serpente multicolore si snoda in salita sino a perdita d'occhio in basso. Adesso ho la percezione di quanti siamo, soprattutto se penso che sto osservando solo i partecipanti provenienti da Canazei: le altre località da dove partire, nel circondario del Sella (Arabba, Corvara, Selva Gardena) stanno vivendo in questo stesso istante la medesima scena del fiume di pedalatori che sciàmano, in senso antiorario, per le strade dolomitiche chiuse al traffico.
Sfrutto la pausa per una banana e per bere, mi preparo per ripartire: felpa di pile e giacca antivento per sopportare la discesa verso Arabba, solo da poco illuminata dal sole diretto e pertanto ancora fredda (la recente esperienza mi scotta - ma sarebbe meglio dire mi ghiaccia - ancora).
Attraverso la calca badando a quelli che sopraggiungono da dietro salendo, e comincio a scendere. E' sufficiente la prima rampa e prima del primo tornante raggiungo già i settanta all'ora. Forse è meglio metterci un pizzico di attenzione supplementare. Doso bene i freni per ottenere la migliore decelerazione senza provocare fischi o, peggio, il blocco delle ruote. Occhi dappertutto per evitare i missili che superano a sinistra accucciati a uovo (io sono a sessanta, loro a quanto c§220 stanno andando?). Il circondario è tutto a pascolo, mucche serafiche si fanno i fatti loro sino a bordo strada approfittando dell'erbetta fresca, per nulla infastidite dalle sibilanti dueruote. Il fondo stradale è messo peggio che nella salita (è infatti visibile il confine regionale, dopo il Pordoi siamo entrati in Veneto, con tutto quello che ne deriva in termini di stanziamenti), e le traiettorie devono essere più accurate per non perdere aderenza nelle crepe.
Ad Arabba veniamo accolti dal punto di partenza della Maratona delle Dolomiti, con musica, chioschi di panini e atmosfera da fiera paesana. Non mi fermo, mi spoglio degli abiti caldi e così alleggerito dirigo subito verso la nuova salita Passo Campolongo, seconda prova di oggi.
Che a dire il vero arriva quasi subito, il dislivello da superare è di soli duecento metri e in poco tempo è fatta, ferma restando la foto commemorativa.
Mi rivesto nuovamente. Anche lungo la discesa verso Corvara in Badia le velocità sono interessanti, e se possibile le condizioni della strada peggiorano ulteriormente. Passo su una buca nell'asfalto ai 67 all'ora, incassando una botta che spezza il supporto del GPS, che vola letteralmente per aria, trattenuto dal laccio che ho previdentemente avvolto al manubrio (mi è già successo in passato di giocarmi il supporto, solo che allora il GPS volò per strada e solo la fortuna volle che per un solo istante non passassero autoveicoli... Ah, quanto insegna l'esperienza...).
A Corvara, in un comodo piazzale di parcheggio, sosto per pranzare e per riscaldarmi un pò. Mi guardo attorno e penso che i ciclisti sono proprio strani, con la loro propensione ad annusarsi guardandosi le bici, osservandone i dettagli, scrutando l'un l'altro accessori e abbigliamento. C'è chi chiama gli amici, sparpagliati da qualche parte sul percorso, ed è tutto un rincorrersi telefonico di "Dove siete?", "Quale avete fatto?", "A che punto state?".
Mi chiedo quale bizzarra visione si abbia del coloratissimo fiume di ciclisti se osservati dall'ovovia che si stacca poco lontano verso la cima del Gruppo Sella. Oppure quanto darei per dare un'occhiata dall'alto con l'elicottero che di tanto in tanto tocca e riparte dalla vicina elisuperficie, portando i turisti a fare foto.
Finita la pausa riparto, per la concomitante Maratona delle Dolomiti è stata allestita una festa con musica dal vivo, e c'è una presentatrice appollaiata su una bassa staccionata che saluta i ciclisti che passano. Siccome in Val Badia a certe cose ci tengono, hanno pure allestito un ciclopico arco gonfiabile con un'altrettanto gigantesca bicicletta celebrativa dell'evento.
La salita al Passo Gardena, che sancisce lo sconfinamento in Sudtirolo, si fa sentire subito. Sono a metà strada, e il tracciato si dimostra impegnativo non tanto per la pendenza quanto per la sua lunghezza. La dimostrazione sta nel fatto che adesso sono tutti in silenzio, le chiacchiere azzerate, chini e concentrati sui manubri. Alle nostre spalle si apre uno scenario incantevole sulla Val Badia, sempre più in basso, da cui risale la corrente lenta e continua di ciclisti lungo la strada curvilinea.
Adesso il cielo è oscurato di nubi, la temperatura scende. Siamo sul versante in ombra del Gruppo Sella, alla nostra sinistra, che mostra tutto un altro aspetto: gole, rientranze, pareti frastagliate, guglie rosacee alla sommità delle quali si scorgono i camminamenti e le passatoie delle ferrate in quota. Una cascata sorge altissima da un nevaio e precipita per centinaia di metri sulle sottostanti pietraie.
Fedele ad un fenomeno già sperimentato durante i miei viaggi in bici, la mia pedalata rende meglio nel pomeriggio che al mattino: riesco quindi ad imprimere un buon ritmo che mi consente di sopravanzare addirittura molta gente, e di accodarmi a un duo di stradisti dall'aspetto assai tonico e allenato.
All'arrivo sul Passo Gardena la folla è così tanta che manca lo spazio in strada. Dopo un paio di foto e la nuova vestizione non mi trattengo molto, anche perché sto continuamente scrutando il cielo e temo l'arrivo della pioggia (che a 2200 metri di quota ha l'antipatica tendenza a tramutarsi in NEVE).
Mi lancio quindi per la terza discesa del giorno, quasi rettilinea perchè corre sul lungo fianco nordoccidentale del Sella, e dominata davanti a noi dal Sassolungo incappucciato di nubi. E' un tratto facile e veloce, con l'unica caratteristica di scendere poco di quota e quindi di mantenersi a temperature piuttosto basse. Soffro infatti un pò il freddo e cerco di coprirmi meglio che posso.
Al bivio per Selva Gardena mi districo tra chi sosta per spogliarsi prima della nuova ascesa al Passo Sella, e vado a compiere la stessa operazione un pò più avanti.
Anche questa salita è un pò lunghetta, ma credo sia un effetto della stanchezza che comincia a farsi sentire. Scende qualche gocciolina, ma nulla di grave. Intanto il serpentone dei pedalatori incalliti - per motivi che non colgo - si sta diradando, e siamo in pochi per strada adesso. Capisco l'antifona quando trovo un bailamme al Passo Sella: si prolungano le soste, e c'è una folla esagerata al rifugio. Solito assalto al cartello per la foto ricordo, gruppi che festeggiano l'ultima salita, battutacce da caserma e schiamazzi molesti. Un gruppetto di rocciatori di ritorno da un'arrampicata osservano con malcelato disappunto la violazione delle solitamente silenti e rarefatte lande d'alta quota. O forse è solo invidia.
Mi riavvio ben cosciente che non è ancora finita, il fiume di gente si è scremato notevolmente, e adesso sto sfrecciando in discesa lungo le pendici boscose ai piedi del Sella, con i miei tre sconosciuti compagni di strada e nessun altro. Stiamo per uscire dalla riserva indiana creata appositamente per noi oggi, con la chiusura al traffico automobilistico dell'anello che gira attorno al Sella.
Rientro in paese, sono soddisfattissimo dell'esperienza. varcando il portale di ingresso al campeggio non trattengo un sorriso, e blocco il GPS sui 61 km percorsi
Non sono stato neppure lì tanto a chiedermi se ce l'avrei fatta o meno.
Dovevo esserci, l'ho fatto e basta, mi sono divertito. Ho imparato a conoscermi meglio mettendomi alla prova.
Non sono da solo, e da oggi io sarò anche qua.
============================
(*): questa non è mia, è del Maestro Eterno e Assoluto Gianni Mura. Si adattava alla perfezione, e chi l'ha vissuto sa cosa significa.....
Siamo in quattro, i due avanti e io con un altro aggiuntosi dopo.
Infiliamo nel più assoluto silenzio le curve e controcurve strette, il sibilo dei freni unica nota udibile, concentrati per gestire le traiettorie delle nostre bici sparate in discesa a quasi settanta all'ora.
Nessuno parla, le giacchette antivento dai colori improbabili frusciano schiaffeggiate dall'aria che si fa via via più calda al diminuire della quota, a volte ci disponiamo in fila, a volte a coppie affiancate, a diamante, a quadrato. Un trenino, un nucleo primordiale a geometria variabile, una molecola a legame debole che si sfilaccia e si ricompatta, ma senza disgregarsi.
Ci siamo aggregati per caso, filando giù dai tornanti boscosi che dal Passo Sella riportano a Canazei, da dove sono partito stamattina per partecipare al Sellaronda Bike Day.
Dovevo esserci a tutti i costi, erano mesi che sognavo di essere qui, ventimila e più ciclisti che percorrono l'anello che abbraccia il gruppo del Sellaronda tra Trentino, Veneto e Sudtirolo. E allora mi sono organizzato per passare meno di ventiquattro ore quassù, nottata in campeggio bagnata fradicia, fredda e in gran parte insonne (devo cambiare tenda, la mia sta ormai soffrendo l'usura dei viaggi passati).
Ma la domenica mattina, al risveglio alle sei, ci pensa il massiccio della Marmolada a darmi il buongiorno, stagliandosi ammantato di neve esattamente di fronte alla mia tenda, come apro il tendalino.
Il tepore faticosamente accumulato durante la notte esala in un istante, e non mi resta che muovermi e darmi da fare per mantenermi caldo.
Colazione da lottatore di sumo, un due tre fette di pane generosamente spalmate di Nutella fanno compagnia allo yogurt e al tazzone di mezzo litro di caffélatte col miele bello caldo.
Non mi rado, sto coltivando una sottospecie di rito scaramantico che se mi lascio la barba alla domenica mattina pedalo meglio (ma sarò scemo?).
Tiro fuori la bici dal bagagliaio, rimonto la ruota anteriore e dò un'ultima occhiata ai freni (serviranno parecchio, oggi!).
Nonostante il calendario cerchi di convincermi che siamo a fine Giugno, non mi lascio ingannare e mi vesto in modo ibrido-modulare sul pesantino andante con brio. Il che non spiegherebbe nulla se non precisassi di essermi vestito "a cipolla", con una maglia da ciclismo a maniche corte e pantaloncini da ciclismo corti, ma arricchiti da una felpa in pile , dalla giacca antivento, zuccotto e collare in pile. Ma la vera new entry sono i coprigambe e le mezze maniche, che all'occorrenza si possono sfilare via (i primi), oppure ripiegare sui polsi (le seconde).
Mentre sono alle ultime battute di preparazione mi accorgo che quasi tutto il campeggio si sta attivando con lo stesso proposito: cominciano infatti a sfilare tanti ospiti a due ruote, equipaggiati alla bisogna.
Esco quindi e mi tuffo nel fiume di appassionati pedalatori, non c'è bisogno neppure di intuire quale sia la direzione da prendere, è sufficiente seguire gli altri.
Dopo neppure duecento metri, si comincia a salire. L'andatura rallenta e fa si che la densità di ciclisti aumenti notevolmente, e mi ritrovo a pedalare a trenta centimetri da perfetti sconosciuti, a respirarne il sudore, a percepirne il respiro. L'attenzione adesso è concentrata a evitare di incrociare il manubrio con qualcun altro, a non urtare le ruote di chi precede, a dare spazio a chi sopraggiunge da tergo con andatura più sostenuta, annunciandosi con richiami che giungono secchi nel silenzio della mattina "Oh!", "Occhio!", "Attenzione in mezzo!". Dopo pochi tornanti siamo già immersi nelle pendici silvestri, fitte di alberi, che issano verso il bivio tra il Passo Sella e il primo degli impegni, la prima meta, la prima sfida, il primo timore reverenziale: il Passo Pordoi a 2241 metri.
In questo primo tratto, tutti freschi ed entusiasti, le chiacchiere si sprecano, e allora è tutto un vociare tra i gruppi di amatori, riconoscibili dalla stessa maglietta, e chi ha fiato lo usa anche per parlare, forse per esorcizzare la salita a uno dei passi-monumento. Assisto al variopinto spettacolo di multicolori schiene chine sui manubri, sfottò e chiacchiere in una quantità notevole di inflessioni diverse, tutto il Paese è rappresentato qui, lungo queste strade. Assisto agli amorevoli consigli dell'uomo verso la sua donna su come affrontare al meglio le traiettorie in salita sui tornanti (c'è una precisissima tecnica per farlo, nulla è lasciato al caso in queste condizioni). Mi accorgo - da quelli che cominciano quasi subito a fermarsi in corrispondenza dei tornanti per riprendere fiato - che lungo questi percorsi, sulle Dolomiti, a queste quote, ogni pedalata data male la paghi a carissimo prezzo, e con gli interessi. Mi concentro quindi ancora di più per impostare una salita regolare, senza strappi né fuorisella inutili.
Non mi interessa dare spettacolo, voglio solo divertirmi.
Pedalare in un gruppo stretto comporta soprattutto il percepire le persone in modo estremamente ravvicinato, magari se non in senso spirituale di sicuro in quello spaziale, e quindi fisiologico. I ciclisti infatti sono noti per essere gente piuttosto rude, adusi a mantenere la propria efficienza fisica anche stando sulla strada mentre pedalano, e senza smettere di pedalare: nessuna sorpresa quindi se c'è chi scaracchia, sputa e si libera il naso en plein air, con grave nocumento per la serenità di chi segue in scia. Uno splendido campionario umano. A me tocca un tizio che a stargli dietro prendo più vento che a stargli davanti (*): infilo infatti una sequenza di scorregge appena attutite dall'imbottitura del pantaloncino, preannunciate dal sollevamento del deretano dal sellino. Alla terza schioppettata decido di averne abbastanza, e mi accodo altrove. Credevo di essere ruvido, un pò come tutti i ciclisti: beh, ho scoperto di essere in ottima compagnia.
La salita al Passo Pordoi da Canazei |
L'ascesa è scandita dai cartelli che numerano i tornanti, completi di indicazione della quota altimetrica: oltre i 1.800 metri la foresta si dirada e la visuale si apre sulla maestosità delle cime circostanti. Davanti a noi le Torri del Sella si ergono verticali nell'azzurro più azzurro da un bel pezzo in qua, più a destra il Sass Pordoi, a sinistra in lontananza il Sassolungo è già incappucciato di nubi, intrappolate nel suo anfiteatro rivolto a nordovest.
Celebro intimamente il superamento dei 2.000 mt. di quota, sto arrivando più in alto di quanto sia mai giunto in bici da una quindicina d'anni in qua (il mio record è 2.750 metri nella Conca di By, in Val d'Aosta nell'Ottobre 1997, ma non ero allenato, ero completamente in solitaria, sono arrivato lassù del tutto ubriaco di fatica e ipossìa e ho rischiato di pagare carissimo la mia sventatezza, rischiando molto, davvero troppo).
L'arrivo al Pordoi, due ore per ottocento metri di dislivello in dodici chilometri, è preceduto da un vociare in lontananza. Un tappeto di centinaia di ciclisti occupano l'assolato piazzale della funivia, il cartello marrone indicatore di località è preso d'assalto per la foto ricordo.
Io mi volto indietro, ancora incredulo di essere lì: sotto di me un serpente multicolore si snoda in salita sino a perdita d'occhio in basso. Adesso ho la percezione di quanti siamo, soprattutto se penso che sto osservando solo i partecipanti provenienti da Canazei: le altre località da dove partire, nel circondario del Sella (Arabba, Corvara, Selva Gardena) stanno vivendo in questo stesso istante la medesima scena del fiume di pedalatori che sciàmano, in senso antiorario, per le strade dolomitiche chiuse al traffico.
Sfrutto la pausa per una banana e per bere, mi preparo per ripartire: felpa di pile e giacca antivento per sopportare la discesa verso Arabba, solo da poco illuminata dal sole diretto e pertanto ancora fredda (la recente esperienza mi scotta - ma sarebbe meglio dire mi ghiaccia - ancora).
Attraverso la calca badando a quelli che sopraggiungono da dietro salendo, e comincio a scendere. E' sufficiente la prima rampa e prima del primo tornante raggiungo già i settanta all'ora. Forse è meglio metterci un pizzico di attenzione supplementare. Doso bene i freni per ottenere la migliore decelerazione senza provocare fischi o, peggio, il blocco delle ruote. Occhi dappertutto per evitare i missili che superano a sinistra accucciati a uovo (io sono a sessanta, loro a quanto c§220 stanno andando?). Il circondario è tutto a pascolo, mucche serafiche si fanno i fatti loro sino a bordo strada approfittando dell'erbetta fresca, per nulla infastidite dalle sibilanti dueruote. Il fondo stradale è messo peggio che nella salita (è infatti visibile il confine regionale, dopo il Pordoi siamo entrati in Veneto, con tutto quello che ne deriva in termini di stanziamenti), e le traiettorie devono essere più accurate per non perdere aderenza nelle crepe.
Discesa dal Pordoi ad Arabba |
La salita da Arabba a Passo Campolongo |
Che a dire il vero arriva quasi subito, il dislivello da superare è di soli duecento metri e in poco tempo è fatta, ferma restando la foto commemorativa.
La discesa dal Passo Campolongo a Corvara in Badia |
Mi rivesto nuovamente. Anche lungo la discesa verso Corvara in Badia le velocità sono interessanti, e se possibile le condizioni della strada peggiorano ulteriormente. Passo su una buca nell'asfalto ai 67 all'ora, incassando una botta che spezza il supporto del GPS, che vola letteralmente per aria, trattenuto dal laccio che ho previdentemente avvolto al manubrio (mi è già successo in passato di giocarmi il supporto, solo che allora il GPS volò per strada e solo la fortuna volle che per un solo istante non passassero autoveicoli... Ah, quanto insegna l'esperienza...).
A Corvara, in un comodo piazzale di parcheggio, sosto per pranzare e per riscaldarmi un pò. Mi guardo attorno e penso che i ciclisti sono proprio strani, con la loro propensione ad annusarsi guardandosi le bici, osservandone i dettagli, scrutando l'un l'altro accessori e abbigliamento. C'è chi chiama gli amici, sparpagliati da qualche parte sul percorso, ed è tutto un rincorrersi telefonico di "Dove siete?", "Quale avete fatto?", "A che punto state?".
Mi chiedo quale bizzarra visione si abbia del coloratissimo fiume di ciclisti se osservati dall'ovovia che si stacca poco lontano verso la cima del Gruppo Sella. Oppure quanto darei per dare un'occhiata dall'alto con l'elicottero che di tanto in tanto tocca e riparte dalla vicina elisuperficie, portando i turisti a fare foto.
Finita la pausa riparto, per la concomitante Maratona delle Dolomiti è stata allestita una festa con musica dal vivo, e c'è una presentatrice appollaiata su una bassa staccionata che saluta i ciclisti che passano. Siccome in Val Badia a certe cose ci tengono, hanno pure allestito un ciclopico arco gonfiabile con un'altrettanto gigantesca bicicletta celebrativa dell'evento.
Salita al Passo Gardena |
La salita al Passo Gardena, che sancisce lo sconfinamento in Sudtirolo, si fa sentire subito. Sono a metà strada, e il tracciato si dimostra impegnativo non tanto per la pendenza quanto per la sua lunghezza. La dimostrazione sta nel fatto che adesso sono tutti in silenzio, le chiacchiere azzerate, chini e concentrati sui manubri. Alle nostre spalle si apre uno scenario incantevole sulla Val Badia, sempre più in basso, da cui risale la corrente lenta e continua di ciclisti lungo la strada curvilinea.
Adesso il cielo è oscurato di nubi, la temperatura scende. Siamo sul versante in ombra del Gruppo Sella, alla nostra sinistra, che mostra tutto un altro aspetto: gole, rientranze, pareti frastagliate, guglie rosacee alla sommità delle quali si scorgono i camminamenti e le passatoie delle ferrate in quota. Una cascata sorge altissima da un nevaio e precipita per centinaia di metri sulle sottostanti pietraie.
Fedele ad un fenomeno già sperimentato durante i miei viaggi in bici, la mia pedalata rende meglio nel pomeriggio che al mattino: riesco quindi ad imprimere un buon ritmo che mi consente di sopravanzare addirittura molta gente, e di accodarmi a un duo di stradisti dall'aspetto assai tonico e allenato.
All'arrivo sul Passo Gardena la folla è così tanta che manca lo spazio in strada. Dopo un paio di foto e la nuova vestizione non mi trattengo molto, anche perché sto continuamente scrutando il cielo e temo l'arrivo della pioggia (che a 2200 metri di quota ha l'antipatica tendenza a tramutarsi in NEVE).
Discesa dal Gardena |
Mi lancio quindi per la terza discesa del giorno, quasi rettilinea perchè corre sul lungo fianco nordoccidentale del Sella, e dominata davanti a noi dal Sassolungo incappucciato di nubi. E' un tratto facile e veloce, con l'unica caratteristica di scendere poco di quota e quindi di mantenersi a temperature piuttosto basse. Soffro infatti un pò il freddo e cerco di coprirmi meglio che posso.
Al bivio per Selva Gardena mi districo tra chi sosta per spogliarsi prima della nuova ascesa al Passo Sella, e vado a compiere la stessa operazione un pò più avanti.
Salita al Passo Sella |
Anche questa salita è un pò lunghetta, ma credo sia un effetto della stanchezza che comincia a farsi sentire. Scende qualche gocciolina, ma nulla di grave. Intanto il serpentone dei pedalatori incalliti - per motivi che non colgo - si sta diradando, e siamo in pochi per strada adesso. Capisco l'antifona quando trovo un bailamme al Passo Sella: si prolungano le soste, e c'è una folla esagerata al rifugio. Solito assalto al cartello per la foto ricordo, gruppi che festeggiano l'ultima salita, battutacce da caserma e schiamazzi molesti. Un gruppetto di rocciatori di ritorno da un'arrampicata osservano con malcelato disappunto la violazione delle solitamente silenti e rarefatte lande d'alta quota. O forse è solo invidia.
Mi riavvio ben cosciente che non è ancora finita, il fiume di gente si è scremato notevolmente, e adesso sto sfrecciando in discesa lungo le pendici boscose ai piedi del Sella, con i miei tre sconosciuti compagni di strada e nessun altro. Stiamo per uscire dalla riserva indiana creata appositamente per noi oggi, con la chiusura al traffico automobilistico dell'anello che gira attorno al Sella.
Discesa dal Passo Sella e ritorno a Canazei |
Rientro in paese, sono soddisfattissimo dell'esperienza. varcando il portale di ingresso al campeggio non trattengo un sorriso, e blocco il GPS sui 61 km percorsi
Non sono stato neppure lì tanto a chiedermi se ce l'avrei fatta o meno.
Dovevo esserci, l'ho fatto e basta, mi sono divertito. Ho imparato a conoscermi meglio mettendomi alla prova.
Non sono da solo, e da oggi io sarò anche qua.
============================
(*): questa non è mia, è del Maestro Eterno e Assoluto Gianni Mura. Si adattava alla perfezione, e chi l'ha vissuto sa cosa significa.....
Complimenti mi è piaciuto molto il tuo racconto!!
RispondiEliminaSettimana prox 15 Settembre 2013 la vado a fare anch'io stesso tuo percorso ;-)
Hai qualche consiglio da darmi? abbigliamento..alimentazione?
Ciao Marco
Ciao Marco,
Eliminae grazie per il tuo interessamento.
Di consigli ne ho tanti. In ordine sparso:
- ABBIGLIAMENTO: sabato dovrebbe fare un tempo accettabile (a giugno è stato nuvoloso nella seconda parte della giornata, ha fatto un pò freddo). Parti vestito leggero che tanto salendo ti scaldi (a proposito: da quale località hai intenzione di partire? Come saprai di certo il profilo di salita cambia a seconda delle località). Non dimenticare felpa e giacca antivento, perchè soprattutto scendendo dal Gardena la discesa è prolungata e, se fatta nel primo pomeriggio, in ombra.
- ALIMENTAZIONE: io tendo a viaggiare leggero, il che equivale a dire che il pasto principale è la colazione (mi sfondo lo stomaco, letteralmente), portandomi dietro due panini con un salume tritato (favorisce la masticazione se mangi pedalando, e in ogni caso va giù meglio), una-due banane, due barrette, due gel, due Polase Sport.
- GESTIONE DELLE SOSTE: beh, ho scritto praticamente tutto nel post. Lo spirito principale è quello di godere dell'esperienza, quindi via libera a fotografie e riprese, approfittando delle soste e fermate per pipì, bevute, spuntini, etc. con una cadenza media di 20-30 minuti. In questo modo "cicloturistico" mi sono divertito molto, riservandomi energie sufficienti per il ritorno. C'é tempo per misurarsi in altri contesti e in altre salite (io ad esempio ho fatto il Mortirolo a inizio Agosto, non c'è bisogno che aggiuga altro... eccetto che è stato quasi un incubo).
Non conoscendoti personalmente questi consigli ti sembreranno semmai un pò banali, magari sei notevolmente più esperto di me... Prendili così, in amicizia.
Buone pedalate e buon divertimento per il tuo Sellaronda Bike Day!
Ti ringrazio per i consigli.
RispondiEliminaComunque io parto da Canazei e dovrei fare il giro in senso antiorario,l'importante che il tempo sia clemente perche fare il giro sotto l'acqua non deve essere il massimo. (se piove non parto neanche)
Per quando riguarda l'alimentazione....ola madonna addirittura pane e salame?? :-)
ok per le banane e barrette anch'io avevo pensato di fare cosi.
Grazie ancora :-)
Marco
Canazei mi pare un'ottima partenza, la salita al Pordoi non è poi così micidiale. Per il prossimo fine-settimana dovrebbe fare bel tempo, faccio il tifo per te.
EliminaQuanto al pane e salame, onestamente pensavo di più alla bresaola oppure a un crudo, l'importante è che sia senza grasso (rallenta la digestione) e tritato (va giù meglio, il consiglio è nientemeno che dell'Ingegnere, AKA Marco Pinotti il campione italiano a cronometro). Se poi devo dirla tutta, io ho provato con risultati egregi a fare tanti paninetti (un quarto di fetta di pane) confezionati singolarmente: in questo modo è addirittura più semplice mangiare senza perdere troppo tempo.