Immaginate di stare percorrendo la vostra usuale strada di ritorno dal lavoro, in bicicletta.
Essa strada passa da uno strettissimo marciapiede che percorrete abusivamente a puro scopo di sopravvivenza, in quanto è l'unica scappatoia da una trafficatissima provinciale foriera di lutti e tragedie.
Pensate di scoprire, con vostro sommo disappunto, che le abbondanti precipitazioni a carattere monsonico degli ultimi tempi abbiano fomentato l'indiscriminata crescita di un robusto fusto di cardo spinoso, che si protende strafottente per tre quarti del passaggio obbligato.
Immaginate ora di realizzare - con quel secondo di ritardo - che non ci passate, che siete ormai troppo veloci e che non eviterete il puntuto vegetale nonostante abbiate assunto una postura da bassorilievo egizio..
Provate ora a pensare quali ricamini possa lasciare sul vostro fianco sinistro un ramo recante aculei coriacei di mezzo centimetro di lunghezza, che vi sfrega ineluttabile artigliando vieppiù i vostri liscissimi indumenti in lycra e istoriandovi l'epidermide di caratteristiche striature orizzontali, varianti tra il lacero e il sanguinante.
Ecco, quando è successo a me, non molto tempo fa, ho rivalutato i pregi della desertificazione.
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