giovedì 23 agosto 2012

IL RUGGITO DELLO SCARAFAGGIO

Molte, forse troppe persone non sanno fare i conti con la realtà quotidiana.
Si trincerano dietro false convinzioni, o forse speranze e pie velleità che a voler analizzare la realtà dei fatti si dimostrano tali, cioé proprio fantasie, speranze, velleità, ovvero qualcosa di immateriale che non ha nulla a che fare con la realtà.
 
E la realtà ci dice che in città la media chilometrica tenuta da un'automobile eccede di pochissimo quella che può essere raggiunta in bici (leggete un pò qui, quò e quà). Ciò sarebbe assai facile da verificare consultando più spesso il computerino delle auto che mostra la velocità media mantenuta, azzerandolo spesso. Capiterà così di scoprire che in città è difficilissimo che si superino i 20 km/h di media. La velocità di una bicicletta, appunto.
 
Questo fatto, quando si concretizza nella pratica, manda letteralmente in bestia i già frustrati schiavi del volante, quelli che, quando si trovano ad affrontare ad esempio una sequenza di semafori in città affiancati da una bicicletta, scoprono con profondo disappunto che nonostante ogni loro bruciante sgasata l'auto viene puntualmente ripresa dalla bicicletta al semaforo successivo.

E qui viene la storia.

Ore 07.30 del mattino, in agosto. Città deserta.
Due semafori in serie, io procedo lentamente e mi fermo al primo, ne approfitto per bere, guardarmi attorno, confrontare l'orario sul vicino campanile che mi fa da contatempo, godermi il fresco del mattino anche se c'é già afa.
Una FIAT 600 sopraggiunge alle spalle (quindi neppure una Maserati, ma un'utilitaria) per fermarsi al primo semaforo rosso. Come scatta il verde il guidatore, non reputando la mia ripartenza sufficientemente lesta, parte a razzo e mi scarta sulla sinistra superandomi. Siamo le uniche due forme di vita animale in centinaia di metri.
Il semaforo successivo (a 30 metri) non è sincronizzato col primo, e il Mario Andretti sull'utilitaria, esaurendo le proprie aspettative, è costretto inesorabilmente a fermarsi.
Lo affianco, volgo lo sguardo nella sua direzione, sorvolandolo noncurante e guardando al di sopra del suo tettuccio (lui è seduto, io no, e lo sovrasto di tutto il tronco).
Decido che il polpaccio è sufficientemente caldo e mi posso permettere uno scatto.
Il semaforo verde arriva di soppiatto, e la mia partenza in accelerata coglie di sorpresa lo sfigato al volante, che si avvede del verde quando ormai gli ho già dato trenta metri.
Un malcelato moto di stizza pervade il meschino, che reagisce come se avesse una Lamborghini sotto il culo e impicca il motore per superarmi, ormai quasi cento metri dopo.
Ma è tardi, gli sparisco di sotto infilando una ciclabile parallela, e come conseguenza noto il poveretto rilasciare visibilmente l'acceleratore, improvvisamente alleggerito dell'ansia da competizione.

Auguro a costui ogni migliore cosa: la sua esistenza deve essere davvero triste se per essere felice deve ricorrere all'acceleratore dell'auto.

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