venerdì 29 marzo 2013

DISTINTI SALUTI (LETTERA A UN AUTOMOBILISTA)



 Ciao, amico automobilista.

Sono quel ciclista che vedi pedalare tutti i santissimi giorni sulla provinciale, con qualsiasi tempo e in qualsiasi periodo dell'anno. Ma si, quello strano, con la bici nera, che quasi ti fa sorridere con tutte le sue giacchette e lucine da albero di natale.

Si, lo so che ti sembra insolito e strano che mi rivolga a te in questa maniera, dandoti addirittura del "tu". Ma siccome mentre sei comodamente rinchiuso nella tua puzzolente scatoletta motorizzata sei anche isolato dal mondo circostante, mi è venuto in mente di portarti un saluto da parte di noialtri qua fuori, magari ti sentissi solo e scoraggiato.

Sai, ultimamente si fa un gran parlare di te che cerchi di destreggiarti nel traffico che tu stesso contribuisci attivamente a generare spostandoti in auto, sperando magari di venirne fuori vivo (mai sentito parlare del fatto che si può anche morire lentamente?).



Ti osservo spesso, sai? Mi colpisce particolarmente l'assenza di un qualsiasi barlume di speranza nel tuo sguardo, come se muoverti a passo di lumaca per delle ore in un autoveicolo che sta letteralmente bruciando i TUOI soldi e il NOSTRO ossigeno fosse una cosa naturale e ineluttabile, un pò come l'alternarsi delle stagioni.




Perché i soldi ti servono - in misura sempre crescente - per mantenere quella stessa auto che ti consente di raggiungere il lavoro con cui guadagni i soldi, eccetera eccetera.




Parlano molto di te anche quei quattro cialtroni nullafacenti delle amministrazioni locali, che tentano in tutte le maniere di metterti i bastoni tra le ruote, limitando la tua sacrosanta libertà di imperversare ovunque in qualsiasi condizione meteo, luogo o contesto. Il tuo sdegno è comprensibile, con tutti i soldi che spenderai per mantenere un mezzo motorizzato basato su una tecnologia vecchia di cento anni. E chissà la delusione nello scoprire che quelle belle immagini della pubblicità, quelle con la tua stessa identica auto che scivola via sinuosa su strade perfette, deserte e in mezzo alla natura incontaminata, erano solamente una trappola per fessi che nulla hanno a che vedere con la tua realtà quotidiana. Una quotidianità popolata invece di rallentamenti, ingorghi, buche nell'asfalto e tempi calcolati con l'orologio al cesio dell'Istituto di Fisica Nucleare, ché se parti un minuto dopo trovi coda già uscendo di casa e ti tocca arrivare in ritardo.




E chissà lo smarrimento che provi scendendo dalla macchina e ritrovandoti inerme pedone, e magari subire i comportamenti da parte dei tuoi colleghi automuniti di un minuto prima. Ma guidare deve essere un'esperienza così elettrizzante che - nonostante la vita da criceto sulla ruota che ti tocca fare - non trovi neppure il tempo di porti quel paio di domandine e cercare qualche risposta che, forse, chissà, ti farebbero bene.


Ma ti prego, voglio sperare che il mio ritenerti esattamente pari a un bovino da macello (con l'aggravante della consapevolezza) non turbi il nostro idilliaco rapporto di reciproca stima e simpatia tra persone civili e rispettose.

Tutto sommato ti trovo buffo e anche un pò naif quando sgommi al semaforo nonappena scatta il verde, ma solo per impantanarti in coda dopo neanche cento metri. Cerco di immedesimarmi e penso che, magari, hai pigiato l'acceleratore per sgranchirti la caviglia intorpidita da decine di minuti di ferma-e-riparti oppure far ridere gli amici del bar di fronte, o anche attirare l'attenzione uscendo dall'anonimato in cui sei costretto mentre conduci la tua auto in mezzo a centinaia di altre.



E non mi offendo quando, con accattivante spensieratezza, mi superi su una strada stretta e, magari, trovando un rallentamento più avanti non trovi di meglio da fare che stringermi a destra, come se quel bizzarro trabiccolo che hai sorpassato un secondo prima fosse una statua immobile, e non invece un veicolo che sta procedendo nella tua stessa direzione con un cristiano sopra procedendo, non lo dico per vantarmi, a quasi quaranta all'ora. So che, a volte, la legge della strada è dura e tu devi sgomitare per trovare il tuo posto nel mondo. Ti capisco, sai?

Perciò mi è del tutto chiaro che, ad esempio, solo sfrecciando in modo dissennato sfiorandomi in curva a tre centimetri mentre pedalo a bordo strada riuscirai a guadagnare i nanosecondi necessari ad aggiudicarti l'ultimo parcheggio ragionevolmente vicino casa, o nei pressi del tuo luogo di lavoro. Ti immagino studiare sempre con assiduità le gare automobilistiche, per carpire qualche segreto ai professionisti da mettere poi in pratica alle rotonde, o per migliorare il tuo piazzamento una volta fuori dal distributore di carburante, in modo da guadagnare due-tre posti in una coda pressoché ferma, e potertene vantare in famiglia, o coi colleghi.

Che però tutte queste motivazioni non giustifichino un - quando va bene - tentato omicidio stradale, beh, questa è un'altra storia. Ma sia detto in amicizia e senza rancore, eh?...

E mi sono parimenti bene evidenti le ragioni del tuo stupore nel vedermi in bicicletta, giorno dopo giorno, mese dopo mese, pioggia, neve, vento, buio che sia. Ma ti voglio rassicurare: non devo espiare alcuna colpa, semplicemente preferisco vivere.
























Vedi, nell'osservarti quotidianamente che ti affanni e ti arrabatti nella tua sincera convinzione di essere libero mi sorgono moltissimi interrogativi (mentre pedalo il mio cervello non si spegne come succede a te mentre guidi).

Uno di questi è:

perchè no?

Perchè non provare a condividere, seppur fosse una goccia nel mare, quello che prova un ciclista pendolare?

Qualora tu volessi provare a metterti in questi panni, anche solamente per un breve periodo, scoprirai - credo con la stessa meraviglia che colse me quando iniziai - tutta una serie di sensazioni nuove, e sconosciute a chi guida:
  • ad esempio ti sentirai subito meglio (una volta adattato alla postura ciclistica e superati i noti "problemini" ad essa legati, riguardanti i polsi e il fondoschiena);
  • poi ti renderai conto di essere più incline al sorriso. Non ti spaventare, è un fenomeno perfettamente naturale derivato dalla produzione di endorfine stimolata dall'attività fisica. Come diretta conseguenza del tuo sorriso, ti accorgerai che anche gli altri ti sorrideranno più spesso (è un'altra reazione naturale causata dai neuroni-specchio, vai su Wikipedia e troverai tutto qui);
  • ti accorgerai che le previsioni meteo sono inutili, e che si può benissimo pedalare con qualsiasi clima, con il giusto abbigliamento. Ti dirò di più: per quanto incredibile ti sembrerà all'inizio, proverai caldo in inverno e fresco d'estate. Magari come me ti ritroverai almeno una volta a provare gratitudine per la pioggia, o a rimanere incantato dalla danza dei fiocchi di neve nel cono di luce dei tuo fanale anteriore;
  • proverai maggiore fiducia nelle tue capacità, perché mano a mano che pedalerai ti sembrerà tutto più facile. Magari - forte di questa nuova consapevolezza - ti verrà voglia di provare ad ampliare i tuoi orizzonti, allargando il raggio delle tue pedalate durante il fine-settimana. Cosa più importante: questa sensazione non si esaurirà con l'uso della bici, ma pervaderà ogni aspetto della tua esistenza (ora prova a immaginare che figata pazzesca);
  • scoprirai che gli eventi della tua vita assumeranno una nuova prospettiva, e ti accorgerai di quante cazzate era ingolfato il tuo cervello. Una lucidità mai sperimentata prima ti rivelerà che le cose autenticamente prioritarie della tua vita assommano a una manciata scarsa, e tutto il resto è pura fuffa. Laddove invece gli eventi quotidiani della tua esistenza persistessero con l'ingolfarti di inutilità, ti sarà semplice constatare che una pedalata basterà a ristabilire un sano equilibrio nelle tue priorità;

  • nel breve volgere di sei-nove mesi troverai più quattrini sul conto in banca. Tale fenomeno paranormale moltiplica con regolarità i propri effetti col protrarsi dell'uso della bici al posto di quello dell'auto;
  • comincerai anche tu a dimenticare il significato di parole come "impegnativa del medico", "mal di gola", "farmacia", "raffreddore", "dolorino", "antibiotico", e tutte le parole correlate a malanni e acciacchi causati sostanzialmente dall'inattività fisica;
  • infine, anche tu entrerai a far parte della schiera di persone che non riesce fino in fondo a spiegare agli altri l'intensità, la pienezza e la profondità delle sensazioni sopra elencate. E ciò nonostante non te ne fregherà nulla.




Fai una prova, una sola. Concediti un periodo di tempo e prova.

Non costa nulla, non hai nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Non solo tu personalmente, ma anche tutti noi.

Con immutata stima.

Luca.





5 commenti:

  1. Ciao Luca,
    premetto che sono un automobilista e che, al di là della tua ironia perentoria di un predicatore fastidioso che produce l'effetto opposto a quello sperato , mi trovi perfettamente d'accordo con tutto quello che mi dici.
    Avrei alcune domande su come hai risolto alcuni di quei fastidiosi problemini, e mi verrebbe da chiederti che lavoro fai.
    Con il lavoro che faccio, e il territorio in cui vivo, non potrei mai permettermi di andare e tornare in bici, che da come scrivi deve essere fenomenale ed entusiasmante.
    Ma ti prego di pensare che molti, come te, amano andare in bici ma purtroppo per necessità, usano l'auto.
    Si potrebbe rispondere tono a tono a quanto dici, ma in tutto quello che scrivi la vera ed unica cosa positiva è il benessere psicofisico che dà la bici, così come la corsa, il nuoto o qualsiasi altro sport, con il vantaggio di un mezzo di locomozione.
    Immagino che, essendo allenato, tu possa percorrere diversi kilometri, ti sfido però a percorrere 60-80 km al giorno per andare al lavoro, fare la spesa la sera e dopo tutto questo avere la forza di stare in famiglia. Il tuo discorso funziona se abitassimo tutti vicini al posto di lavoro. Purtroppo non è così e non possiamo decidere altrimenti, e te lo dico con tristezza e rassegnazione, che forse leggi nei miei occhi tutti i giorni.
    Se quindi non provi odio ma compassione per l'automobilista, evita di scrivere cose male interpretabili come un'invettiva o sfogo qualsiasi,e dirigi la tua curiosità verso il pensiero di una persona che, ineluttabilmente, non ha altra scelta di prender l'auto.
    Ciao e grazie

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  2. Ciao, chiunque tu sia (non ti firmi).
    L’eleganza del tuo commento mi porta ad argomentare con altrettanto tratto le mie risposte alle tue osservazioni.
    Innanzitutto le presentazioni, come tu richiedi, e alcune informazioni su di me per meglio chiarire il contesto nel quale la mia esperienza è maturata: vivo in provincia di Milano, ho una splendida famiglia con due figli non eccessivamente piccoli, e come occupazione rivesto un livello medio-alto di una carriera direttiva che, per grossolana approssimazione, è collocabile nell’ambito impiegatizio. Viaggio molto con frequenza aperiodica, e pertanto è facile intuire come la mia esperienza di pendolare a pedali sia condizionata dalle mie trasferte. Quando non sono fuori sede, raggiungo il mio luogo di lavoro coprendo una distanza di 21 chilometri circa. Quando sono fuori sede, sopperisco con 10 km di corsa almeno due volte alla settimana.
    Come immaginerai, non sono nato con una bicicletta sotto al sedere. Anzi, a onor del vero ho scoperto l’attività fisica e lo sport relativamente tardi, al termine della mia adolescenza, e la bicicletta - da sogno tenuto in un cassetto per un quindicennio abbondante - l’ho potuta praticare regolarmente solo a partire da cinque anni fa (quando vivevo ancora più lontano, a 35 km dal lavoro). I “problemini” legati all’uso assiduo della bici (mi ricordo inizialmente dolore ai polsi, escoriazione al perineo, qualche fastidio alle ginocchia, forse un indolenzimento al collo) come sono venuti se ne sono andati, grazie anche ad una accurata scelta dell’equipaggiamento (internet è una vera miniera per tali esigenze). Sono andato infatti dalla scelta delle manopole del manubrio in spugna ai pedali a scatto, dalle scarpe da ciclismo con suola rigida ai pantaloncini imbottiti, semplici tecniche di massaggio e di pedalata “rotonda” per evitare o risolvere piccoli problemi muscolari e articolari. Grazie ad un perfezionamento continuo durato circa quattro anni, basato su tentativi, adesso riesco a coprire il tragitto in 50 min in autunno-inverno, e 43-45 in primavera-estate, letteralmente con qualsiasi clima o condizione meteorologica, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. La mia bici è perfettamente funzionante (curo minuziosamente la manutenzione personalmente, bastano dieci minuti alla settimana), equipaggiata di tutti i dispositivi previsti dal codice della strada (catarifrangenti anteriore, posteriore e laterali, luci anteriori potentissime e poteriori lampeggianti), indosso il giubbino ad alta visibilità come prescritto da mezz’ora dopo il tramonto a mezz’ora dopo l’alba, non attraverso sulle strisce, rispetto i semafori, non vado sui marciapiedi.

    Sono assolutamente interessato a conoscere quale “effetto sperato” tu abbia ravvisato nel mio post. Non per altro, ma nel creare questo blog non mi sono posto alcun obbiettivo se non quello di condividere la mia esperienza da ciclista pendolare e cicloviaggiatore, con un secondario intento propagandistico ma senza alcuna velleità di proselitismo militante. Questo perché credo che tutti noi, fondamentalmente, siamo liberi di essere (in)felici come meglio crediamo, in proporzione alla nostra facoltà di analizzare la realtà che ci circonda, porci le opportune domande, e trovare delle risposte che non siano le solite “tanto è sempre lo stesso”, “tanto non cambia nulla”, “tanto non ci posso fare niente” e via rinunciando.

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  3. A proposito di tali domande, ne avrei alcune io da proporti che il tuo commento mi suscita, che provengono dalle mie osservazioni di quello che – secondo me – non va oggigiorno e che ormai tutti quanti si sono convinti che sia “normale”. Giusto qualcuna:

    - ma chi l’ha detto che è normale che una persona sia costretta a farsi decine di km per andare a lavoro? Se analizziamo le cause di un tale fenomeno (oggi considerato normale, ma che di normale non ha nulla), potremmo scoprire che una percentuale assai significativa di posti di lavoro potrebbe funzionare benissimo in modalità telelavoro, che in Italia è un universo misconosciuto e reietto. Andando a scavare potremmo addirittura imbatterci in una raccolta dati da cui emerge che il 75% delle auto è utilizzato per spostamenti entro i 20 km, che mediamente durano un’ora o anche meno (due se contiamo anche il ritorno), ma drenano risorse familiari (e quindi nazionali) 24 ore al giorno
    - ma chi l’ha detto che il luogo di lavoro, ancorché distante, debba per forza essere raggiunto in auto? E se percaso ci mettessimo in testa, una buona volta, di fare i cittadini responsabili e decidere di votare alle elezioni chi magari ha qualche proposta per ridistribuire le risorse nazionali per migliorare la vita di tutti (una rete di trasporto pubblico efficiente, magari), anziché salvare la propria fedina penale per un ventennio scarso asservendo l’intera vita nazionale a scapito delle decisioni strategiche, favorendo al contempo conventicole e cricche di amici e amici degli amici a scapito della regolarità, delle leggi e della costituzione?
    - e anche qualora fosse perfettamente legittimo usare le auto per raggiungere luoghi di lavoro distanti, ma chi l’ha detto che bisogna per forza rischiare la propria vita e quella degli altri conducendo il mezzo come se si fosse da soli in mezzo a un deserto, solo perché si ha fretta?
    - ma soprattutto, chi l’ha mai detto che l’auto DEVE essere una necessità? Io la chiamerei piuttosto schiavitù.

    Come vedi, concordo perfettamente con il sottotitolo del libro “Salvaiciclisti” di Paolo Pinzuti, fondatore dell’omonimo movimento a cui peraltro il presente blog aderisce: “La bicicletta E’ politica”. E se per politica si intende il modo di scegliere le soluzioni ai problemi sulla base dei propri valori e convincimenti, io mi sono guardato attorno e ho scelto di non farmi trattare come un bovino in scatola.

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  4. La mia predisposizione nei confronti di chi conduce un’auto inizialmente non era così negativo. Questo perché ancora non conoscevo COSA SIGNIFICHI pedalare ogni giorno. Non conoscevo l’indifferenza pressoché totale negli occhi di chi guida. Non conoscevo la superficialità – spesso letale - con cui gli automezzi vengono condotti. Non conoscevo, in sintesi, i nefasti effetti della “motorizzazione di massa”, come la chiamavano negli anni’70. L’uso massivo, indiscriminato e diffuso dell’auto in ogni circostanza, clima e condizione meteo porta a guidare veicoli anche persone che, per propensione caratteriale (gente ansiosa, irascibile, facile a distrarsi e con deficit di attenzione), problematiche personali (una persona preoccupata di perdere il lavoro o per un divorzio avrà le medesime facoltà mentali di prontezza e lucidità di una persona tranquilla e serena?) o solo per un momentaneo infelice frangente (dormito poco la notte, un risveglio difficile, un mal di testa o forte raffreddore), non ne sarebbero fisicamente in grado perché incapaci di controllare un mezzo che travalica le loro capacità sensoriali (l’uomo è SEMPRE l’elemento debole se accoppiato a una macchina).
    La fondamentale differenza sta nel fatto che in tutto questo tempo, col culo sul mio sellino, ho notato quanto sia diffusa la rassegnazione nei guidatori, quella rassegnazione che automaticamente ha portato ad affermarsi il concetto che “è capitato”, “è stata una tragica fatalità”, “non ha potuto evitarlo” ogniqualvolta accade che un fesso in auto uccide qualcuno fuori dall’auto.
    E tale fondamentale differenza se ne tira dietro subito un’altra: il concetto di oggettiva pericolosità.
    Un esempio: chi al mondo sarebbe capace di negare che una pistola carica è un oggetto pericoloso, anche fosse maneggiata da Sua Santità Papa Francesco I, moderna icona di bontà? La risposta è nessuno, perché l’Uomo è un essere così ingegnoso da avere creato aggeggi che possiedono una elevata pericolosità intrinseca, che si modera appena solo ricorrendo a un severo addestramento e procedure di impiego molto stringenti, e la cui entità è indipendente dalle intenzioni umane.
    Ora, con buona pace delle anime belle che nei blog si autoassolvono ricorrendo all’idiozia che “non uccide l’auto ma il cervello da cui essa è guidata”, nel 2013 (non quindi nel 1913) è un fatto accertato che un’auto è in grado di ammazzare anche alla modesta velocità di 50 all’ora, considerato a torto un valore di tutta sicurezza.
    Ritengo pertanto un fatto innegabile (a meno di ricorrere a futili contorcimenti logici) che il maggiore onere di prudenza nella conduzione del mezzo ricada negli automobilisti, che conducono un veicolo dall’altissima pericolosità intrinseca, che può far male o uccidere anche senza volerlo (vedi il post “La banalità del male” su questo stesso blog). In soldoni: chi va in bici, oltreché rischiare in proprio ed essere comunque sanzionabile se lo fa in modo indisciplinato, al massimo può causare un’ammaccatura o un graffio su una carrozzeria. Chi va in auto invece sta ponendo concrete le premesse per una tragedia anche alla minima distrazione, figurarsi in caso di indisciplina. Come conseguenza devo ammettere che la mia compassione verso i guidatori si è affievolita parecchio, riservando però il mio odio solo a chi se lo merita davvero, e finora sono stati davvero pochi.

    Quanto al tenore dei miei post, non te la prendere. Preferisco non prendere le cose troppo sul serio, salvo eccezioni facilmente individuabili tra i temi di volta in volta trattati.
    Non potendo beneficiare del conforto di un credo religioso che mi fornisca speranze, ho fatto mio il detto “Non prendere la vita troppo sul serio, tanto non ne uscirai vivo”.

    Con simpatia.

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