sabato 19 gennaio 2013

NON E' LA STRADA IL MIO PEGGIOR NEMICO

Usando un'espressione forse un pò scontata, sto scoprendo di essere un inguaribile ottimista.

Questa è la spiegazione che mi do quando - raccontando del mio pendolarismo a pedali - la domanda ricorrente, puntuale, inevitabile e assieme ineludibile, è: "Ma non hai paura?".

Ho fatto una scelta, i cui vantaggi si allargano anche verso tutti quelli che mi circondano, oltreché per me personalmente. Assieme a migliaia di altre persone ho compiuto questa scelta che, se vivessimo in una democrazia e in un Paese civile, troverebbe un - seppur minimo - riscontro nelle scelte politiche di più alto livello così come in quelle fatte a livello di amministrazioni locali. La mia scelta mi causa un'esposizione ad un rischio, perché quel che vedo per strada spesso fa spavento, a volerlo vedere. E io lo vedo perché in bici è più facile guardarsi in giro.

E, porca puttana, ho anche scoperto che ho paura. Un paura fottuta.

Ho paura che mi mettano sotto, magari anche di morire ma quello non sarebbe neanche il peggio: ho paura "di rimanere offeso" (ricordate Rezzonico di Aldo Giovanni e Giacomo?).

Ho paura che mi spezzino le gambe e la schiena, ho paura di restare immobile a rimuginare, per il resto della mia vita (ma non sopporterei neppure un minuto), sul momento che mi ha ridotto così.

Ho paura che, distraendomi, un idiota ancora più distratto di me, ma a bordo di un'arma a motore, anziché impegnarsi a guidare il suo dannato scatolone metallico e puzzolente se ne lasci guidare in modo passivo, senza pensare.

Ho paura perché basta guardarsi intorno per vedere buche micidiali nell'asfalto, lampioni spenti col buio, guard-rail schiacciacristiani, cordoli in cemento e opere viabilistiche fatte alla cazzo di bue e a uso esclusivo delle auto, ma tutte rigorosamente a spese nostre quindi anche di chi l'auto non la usa.

Ho paura perché basta guardarsi intorno per vedere sguardi spenti alla guida, come se un malefico sortilegio, o un inspiegato fenomeno fisico, faccia nascere una patina di sporco  sugli occhi di chi si trovi al volante di un'auto.

Ho paura dell'imbecillità di chi, e ne vedo una quantità inenarrabile, tenta di guadagnare un paio decimi di secondo sorpassando e sfiorandomi di pochi centimetri, per poi fermarsi venti metri più avanti: cosa impedisce a questa gente di pensare che è sufficiente rallentare e accodarsi per ottenere lo stesso risultato senza rischiare la vita di nessuno? Perché all'estero questo comune buonsenso è usato (io testimone) e da noi no?

Ho paura che una situazione del genere possa solamente peggiorare, finché continueremo ad essere bombardati di messaggi pubblicitari via radio e TV, smaccatamente volti a impartire il messaggio dell'auto come unico mezzo per spostarsi, un mezzo vincente (ma va là...), in alcuni casi simbolo di successo e progresso (oddìo, figuriamoci...), addirittura ecologico (risate del pubblico), sebbene si tratti di una tecnologia vecchia di più di cento anni e migliorata col tempo solo di pochissimo, e dagli oggettivi limiti intrinseci tuttora invalicabili. Questi messaggi fanno presa, e la gente viene condizionata e spesso obbligata all'uso delle auto, una nuova schiavitù.

Per contro, ultimamente temo molto anche i messaggi pubblicitari assai piacioni e accattivanti, incentrati sulla bicicletta. Perché la pubblicità è essenzialmente moda, passata la quale, beh, rimarrà sempre la cara e vecchia auto, ché con la bici si suda-si fa fatica-c'è freddo-c'è caldo-mi rovino il vestito-c'è vento-ci si mette troppo e via accampando scuse.

Lo so benissimo che i rischi dell'andare in bici in città non sono fantasie, non sono impressioni, purtroppo sono fatti oggettivi (certo espressi in modo soggettivo). Circostanze che generano timore, soggezione, paura in chi non abbia coraggio sufficiente per rompere uno schema e rimettersi in discussione. Quella paura evocata nella famosa domanda, tanto ricorrente.

Ecco, il punto è proprio questo. La paura.

Ognuno è libero di farsi spaventare da ciò che preferisce.

Io voglio usare la bici nei miei spostamenti, e voglio poterla usare.

Ma adesso, sapendo cosa mi perderei a rinunciare a pedalare, il mio peggior nemico è la paura stessa.

Non ci riusciranno a guarirmi da questa malattia chiamata bicicletta.





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