sabato 28 maggio 2016

STAIRWAY TO HELL/HIGHWAY TO HEAVEN (il mio Muro di Sormano)




Non guardare in alto.

Non guardare in alto.

Guarda il manubrio.

Non guardare in alto.

Non guardare in alto.

Non DEVI guardare in alto.

Ecco, l'ho fatto. Maremma che roba. Gira quei pedali, GIRALI, CRIBBIO...

Sto spingendo sui pedali in un pomeriggio di fine maggio. Un bel pomeriggio, uno di quelli che invoglia a disegnare un percorso, acquisire il beneplacito della mugliera, prendere un giorno da lavoro, e andare. Sto spingendo sui pedali per cercare di avanzare lungo una pendenza spaventosa, mentre percepisco la forza di gravità in ogni fibra del corpo.

Sono partito da Erba, un'oretta abbondante fa, con l'intento di salire al Piano del Tivano da Sormano, poi scendere dal lato opposto, raggiungere Bellagio quindi fare il Superghisallo, e infine tornare a Erba.

Mi fermo, metto il piede a terra, ho il respiro di un chihuahua, devo bere.

La giornata è cominciata bene, la salita fino quasi a Canzo è andata praticamente senza storia. Temperatura ideale per pedalare, forse un accenno di afa. Sto bene e mi sono nutrito adeguatamente. Per non appesantirmi ho portato con me lo stretto necessario per un'uscita di quattro ore, qualche barretta, integratori, una sola borraccia, un kit di riparazione ridotto all'osso.
Cinquecento metri prima di Canzo accade ciò che altri, più assennati di me, avebbero interpretato come un preciso avvertimento che la giornata andava ripensata.
Dopo un primo dente sulla Valassina, lasciata Erba la strada spiana, e son lì che vado sciolto quando avverto uno stranissimo suono di compressore guasto, un sibilo di teiera in ebollizione. Attribuisco la cosa al veicolo che mi sta superando in quel preciso momento, e non ci bado troppo. Se non fosse che, andato via il veicolo, il sibilo rimane ancora per tre-cinque secondi, per poi sparire. Viene sostituito da una inequivocabile sensazione di mollezza al posteriore.
Ho forato. Un'evenienza comune per un ciclista. Ho dietro il necessario.

Ok adesso bevi, calma il respiro, le gambe vanno ma è il respiro che rimonta troppo in fretta. Riesco a ripartire sfoderando doti da equilibrista, la pedalata si fa subito durissima, per adesso rimango seduto ma so che per sopravvivere dovrei alzarmi sui pedali.

Ho con me una bomboletta di schiuma di lattice e la minipompa. Accosto, cerco di individuare il forellino e di rimuoverne la causa. Sembrerebbe una grossa scheggia di vetro. Sparo la schiuma nella ruota ma vedo subito che c'è qualcosa che non sta funzionando, non va proprio: la schiuma fuoriesce dal forellino, dallo stelo della valvola, e in alcuni punti pure dal tallone della copertura. Un casino. Cerco di seguire le istruzioni, girando la ruota per distribuire il lattice, dopo un pò cerco di rigonfiarla ma è peggio di prima: il forellino non pare tale, è proprio un foro, e soprattutto non è dove credevo io. Il lattice fuoriesce a mò di geyser, la pressione non tiene.

Mi tengo leggero sul manubrio, mi sporgo tutto in avanti senza irrigidire le braccia, sarebbero energie sprecate. Per fortuna che il fondo asfaltato è perfetto, pulito, senza una grinza. Sul bordo sinistro scorrono le cifre delle altimetrie, metro per metro, senza sosta, la mia fortuna è che non so a che quota termina questo supplizio, quindi non posso fare un conto alla rovescia.

Il cervello è vuoto. Tutto il mio essere si trova in corrispondenza delle gambe.

Dopo più di mezz'ora forse il lattice comincia a fare il proprio dovere, e riesco a mantenere gonfia la ruota di quel poco che serve per raggiungere un distributore e gonfiarla per bene. Mi avvio, senza neppure sapere bene cosa fare.

Procedo per strappi di due-trecento metri alla volta. Mi fermo, prendo aria, a volta bevo ma non troppo.

Sono da solo. In lontananza si sentono rumori di tagliaboschi. Riparto dopo la seconda sosta e mi metto in piedi, va meglio. Cerco di contenere il respiro, di regolarizzare il mantice impazzito che mi ritrovo nel torace.

Dopo una prima rampa, di circa 500 mt, quasi in corrispondenza del limitare del bosco, mi pare che spiani un pò. Riesco ad imprimere un ritmo di una virgola più agile, ma la velocità è sempre ridicola.

Le scritte sull'asfalto, le celebri citazioni dei grandi del passato, sono sbiadite ma ancora leggibili in alcune parti, e parlano di sofferenza, parlano di sfida dell'uomo contro sé stesso ancor prima che contro la salita.

Procedendo la ruota tiene, accosto a terminare il gonfiaggio e proseguo oltre Canzo. Imbocco la svolta per Sormano, la salita è sensibile ma alla mia portata. Non avendo sott'occhio una mappa, e non avendo memorizzato esattamente i dettagli del tragitto, sbaglio la svolta e tiro dritto verso Caglio. Me ne accorgo che sono quasi arrivato a Sormano. Riprendo la Valassina, incontro i cartelli marroni del Muro di Sormano.

Il Muro di Sormano. Era solamente un'idea, pallida, una di quelle che butti lì giusto per gradire il pensiero. Adesso però l'idea ce l'hai davanti, e un cartello marrone ti chiede di prendere una decisione entro le prossime cinque pedalate. Alla terza, svolto a sinistra senza pensarci poi molto.

Il panorama si apre, dovrei essere tra il terzo e il quarto tornante ma ho perso il conto, le cifre sulla sinistra sono oltre il mille. Mi fermo ancora, cerco di capire quali montagne mi si presentino davanti.

Mi rimetto in piedi per un pò, devo mantenere il ritmo. Si, sono quasi all'ultimo tornante. Pedala perdìo!

L'imbocco del MdS è segnalato da un cancello in legno, oltrepassato il quale c'è un'area picnic con barbecue e fontana. Ne approfitto per un veloce spuntino e per rabboccare la borraccia.
Mentre son lì che mangio passa un camioncino della manutenzione dei boschi, in salita.
Lo sforzo titanico del guidatore per mantenere il moto del mezzo mi dà la proporzione di quel che mi attende, e a tutta prima non è una bella sensazione.

Scaccio via ogni pensiero - ogni pensiero, inclusi i presagi di sventura sulla tenuta del lattice nella ruota - e parto.

L'urto è notevole. La pendenza che mi ritrovo davanti è qualcosa di mai visto. Non devo pensare, solo pedalare.

E' l'ultimo tornante. Questa frase sull'asfalto è di Ercole Baldini. Riesco a leggerla frase per frase. La parola "impossibile" mi ha sempre generato strane reazioni. La pendenza si impenna in un ultima rampa micidiale, e strappo sui pedali accelerando in modo inspiegabile a me stesso. Ecco il cancello di legno, è finita la salita. Sto tremando per lo sforzo.

Oltrepasso il cancello e salgo fino alla Colma di Sormano, dietro al ristorante-rifugio c'è un parcheggio e mi fermo a verificare lo stato della gomma.

Come mi riprendo un pò decido che magari è il momento di fare almeno uno straccio di fotografia, e mi avvicino al cartello di località della Colma. Ci sono due signore in bici che stanno compiendo la stessa operazione. A un certo punto sento alle mie spalle una delle due signore: "Cassinis!!!".

Signori, la carrambata è servita ANCHE sulla Colma di Sormano.
Una volta di più il proverbio "Il Cassinis è OVUNQUE" trova la sua plastica dimostrazione.
Ci presentiamo, scambiamo due chiacchere sui rispettivi giri, concludiamo con l'immancabile foto ricordo.



















































Ci salutiamo, loro proseguono in direzione opposta alla mia. Sono le due e mezza e ce la posso ancora fare. Prendo velocità scendendo vero il Piano del Tivano, le curve sono gradevoli e il fondo tutto sommato accettabile.

Come prendo una minuscola asperità nel manto stradale, però, si fa risentire il sibilo della teiera. Stavolta però la ruota perde pressione molto rapidamente, e quasi rischio di stallonare mentre rallento fino a fermarmi.

E stavolta è anche l'ultima per questo giro. Non ho altro con me per rimediare all'inghippo, la leggerezza si paga. Non mi resta che attendere che passi qualcuno.

L'attesa dura non più di tre minuti, una coppia anziana sta salendo in auto dal lato di Bellagio e si offre di riportarmi su alla Colma. Qualcuno al ristorante - mi suggeriscono - magari può dare un passaggio verso Erba.

Nella sfortuna sono fortunato: dopo neanche cinque minuti due escursionisti stanno partendo dal parcheggio: sono di Corsico, e per tornare a casa debbono passare da Erba dove ho l'auto. Sistemiamo bici e ruote, e scendiamo dal monte.

Il giro è terminato un pò così. Ma l'appuntamento col Ghisallo è solamente rimandato.

Col Muro di Sormano, invece, non saprei proprio......







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