domenica 22 febbraio 2015

NON C'E' PEGGIOR SORDO.

Interno giorno.
Dal fruttivendolo.

- Buongiorno, desidera?

- Buongiorno anche a Lei, vorrei delle mele.

- Perbacco.... ma proprio proprio... mele?

- Ehm, si. Mele, facciamo cinque/sei, grazie. Di quelle rosse.

- Sono spiacente, non ne ho. Però ho delle pere, uva, banane, e mi sono appena arrivati i clementini.

- No, grazie, io ho bisogno di cinque/sei mele. Rosse. Sa, devo preparare una torta. Ho bisogno che siano ben mature.

- Ma che peccato. Magari può cambiare la ricetta, e usare le pere, l'uva, o anche le banane. ha pensato ai clementini?

- Beh, grazie, a me servono proprio le MELE. Mele e basta. Rosse e ben mature. Se non ne ha grazie lo stesso, arriv...

- MA NO!!!! NON SE NE VADA!!! Se desidera ho anche della frutta sciroppata! Pesche in scatola!

- Grazie lo stesso, davvero. Buona giornata.

- MA SU! Ma in fondo che differenza fa? Sempre di frutta si tratta!!

- Mi scusi, ma cosa dice? Se ho bisogno proprio di mele saranno affari miei, no?

- Ma che caratterino!! Non c'è bisogno di reagire così!! Ma è proprio sicuro che la ricetta dica ESCLUSIVAMENTE mele?

- Senta, va bene così. Lei mi sta facendo perdere tempo. ArrivederLa. (esce)

- Ma che cos'ha contro la frutta? Con tutta quella che c'è lei si è incaponito sulle mele!! E magari non le sa neppure preparare bene! Dovrebbe ringraziarmi per i consigli che le do!

- (torna indietro) Adesso non esageri e moderi i termini.

- Ah, ecco!!! Vede che allora E' LEI ad essere aggressivo? Io tento in tutte le maniere di accontantarLa e Lei mi dà contro?

- Lei NON mi sta dando ciò che mi occorre, e poi finisce per offendere!

- La vita le dà tutta una serie di alternative, che sono comodamente disponibili, e Lei invece si è intestardito sulle MELE!!!

[Eccetera, eccetera, eccetera.....]


Ora, nella conversazione qui sopra, inventata di sana pianta, ho cercato di riprodurre (ok, magari in modo semplicistico e volutamente caricaturale) il tono prevalente di certi commenti che capita di leggere sui siti dei giornali mainstream, la schiacciante maggioranza dei quali aderisce alla seguente filosofia qui delineata per sommi capi e non esaustiva:

  1. I ciclisti non hanno nulla di cui lamentarsi;
  2. C'è già la strada, quindi non c'è bisogno di costruire ciclabili;
  3. Non si capisce perchè i ciclisti siano così arroganti e aggressivi;
  4. I ciclisti ostacolano le auto;
  5. I ciclisti non sono mai contenti di ciò che viene fatto per loro.

A parte il fatto che i Punti 2 e 4 sono in aperta contraddizione, emerge una grossa ignoranza di ciò che è realmente necessario per sviluppare una mobilità ciclistica propriamente detta. E questo lo impari solamente pedalando o, in alternativa, ascoltando chi già lo fa senza le fette di salame che oggi ottundono i sensi di chi si pregia di commentare su internet.

Ma quello che mi preoccupa meggiormente è la mia esperienza "umana", ovvero non digitale nè veicolata dai media più o meno social: ovvero ciò che mi capita di ascoltare o di ricevere de visu quandi si parla dell'uso quotidiano della bici per andare a lavoro.

Gli elementi ricorrenti, di cui ormai sono arcistufo, sono (altro elenco non esaustivo):

- "Ma come, possiedi due auto e tu usi la bici?";

- "Ma come, abiti a un chilometro da una stazione ferroviaria e tu te la fai tutta in bici?";

- "Il fatto che TU usi la bici non vuol dire che TUTTI GLI ALTRI che usano l'auto siano dei fessi";

- "Il semplice fatto che vai in bici, tu e pochi altri, non vuol dire che ABBIATE DIRITTO alle piste ciclabili";

- "Se insisti ad andare in bici e rischiare la pelle PER SCELTA, prima o poi ti succede qualcosa di grave" (Variante: "Se ti accade qualcosa te la sei cercata");

- "Voi ciclotalebani siete aggressivi, violenti e intolleranti".

Nonostante i pallidi cenni - recentemente intravisti - di cambio di mentalità nel fare scelte di mobilità urbana e no, per mia constatazione diretta il tenore comune di questi commenti vive una costanza inscalfibile, perlomeno nell'ambiente in cui vivo io.
E' una specie di monolite granitico solidamente impiantanto nelle convinzioni comuni, intriso di indifferenza, abitudine al peggio, indolente adattamento alla comodità anche quando è superflua.
Le conseguenze più evidenti, anche a livello di mera conversazione, sono:

  • un malcelato stupore nell'apprendere che esista un qualcuno sulla faccia della Terra disposto a pedalare per due ore al giorno per raggiungere e tornare dal posto di lavoro;
  • un evidente senso di irripetibilità del fenomeno (tu che pedali sei e rimarrai un caso unico), che pertanto viene liquidato come una bizzarrìa, un'eccezione alla regola immutabile dell'automobile, qualcosa da non imitare, o da cui tenersi possibilmente alla larga;
  • una palese incomunicabilità di fondo: come relazionarsi con uno che fa una vitaccia del genere, non manifesta interesse alcuno per le auto e neppure per le moto, spende "solo" quattrocento euri all'anno in carburante (quando incontri gente che la stessa cifra se la fuma in un mese), non si lamenta del clima, se ne fotte se piove o c'è sottozero. La medesima barriera comunicativa si materializza quando, mano a mano, risulta evidente il tuo ottimismo di fondo, la tua positività, il tuo atteggiamento roseo verso il mondo, con l'ovvia eccezione dei rincoglioniti che tentano di ucciderti per la strada e le buche sull'asfalto lasciate dal traffico intenso;
  • un larvato stigma sociale, teso a farti passare per "pazzerello" o "mattacchione", che nei casi più gravi giunge ad etichettarti come uno scellerato sic et simpliciter. Una variante prettamente femminile predilige l'analisi familistico-psicologica, appioppandoti il titolo di egoista, egotista o egocentrico, che rischia la collottola per inseguire le proprie pulsioni nonostante una famiglia e dei figli: solitamente questo tipo di intervento sulle caviglie in scivolata a piedi uniti (insospettabile da parte di una signora) si smorza da sè quando racconto delle vacanze di due settimane in villaggio turistico quattro stelle per quattro persone, pagate per tre estati consecutive unicamente col risparmio dovuto all'uso della bici. Sequenza che peraltro ancora deve terminare.

In conclusione, le difficoltà del ciclista pendolare non si fermano quando scendi dal sellino: esiste tuttora un diffuso fattore culturale - trasversale in termini di estrazione sociale - che rende questa scelta estranea ed incomprensibile ai più.

Se vogliamo che certe scelte - fatte nel segreto dell'urna - favoriscano un autentico cambio di direzione verso una mobilità sostenibile, è esattamente il "fattore culturale" che va affrontato e, possibilmente, modernizzato.

Come? Continuando a fare ciò che facciamo: ossìa pedalando, e poi raccontandone.

Io continuo a ripetere che, se lo posso fare io, lo possono fare tutti.

Non ci sono più scuse per nessuno.






1 commento:

  1. Le bici non vanno sull'acqua, quindi si può ciclabilare finché si vuole senza quella demenza di riaprire i navigli per trasformare Milano in un acquapark, con lavori enormi predicati come mobilità sostenibile. La città d'acqua fa il paio con la Roma imperiale di Mussolini.

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